Noioso, voglio essere noioso. Ripetivo, voglio essere ripetivo. Ogni tanto tocca farlo. Ci pensavo l’altro giorno, quando esperti vari hanno tracciato in diversi settori uno scenario possibile al 2050, e non abbiamo toccato - se non nelle mie conclusioni - il tema di quale istituzione reggerà la Valle d’Aosta di domani. Come sarà e cosa ne sarà della Regione autonoma? Che sia chiaro come nulla dev’essere mai assodato e anche le norme di rango costituzionale su cui si basa l’attuale ordinamento non sono intoccabili. E possono essere modificate in negativo e naturalmente, al contrario, si dovrebbero modificare in positivo. Ma per farlo ci vuole una comunità che ci creda e che sia sempre vigile e partecipativa sugli eventi possibili. Bisognerebbe - e ne sono convinto - tracciare sui muri almeno tre scritte: “La prima è dello scrittore Elie Wiesel, superstite nei campi di concentramento di Auschwitz, Buna e Buchenwald, insignito del premio Nobel per la pace nel 1986. Il Comitato Norvegese dei Premi Nobel lo chiamò il “messaggero per l'umanità”, affermando che attraverso la sua lotta per venire a patti con "la sua personale esperienza della totale umiliazione e del disprezzo per l'umanità a cui aveva assistito nei campi di concentramento di Hitler", così come il suo “lavoro pratico per la causa della pace". Così scriveva: ”L’opposto dell’amore non è odio, è indifferenza. L’opposto dell’arte non è il brutto, è l’indifferenza. L’opposto della fede non è eresia, è indifferenza. E l’opposto della vita non è la morte, è l’indifferenza”. Gli fa eco Piero Gobetti, uomo politico e scrittore, morto a soli 25 anni, che fu precoce e acuto ispiratore dell'antifascismo di matrice liberale e radicale, interpretando il regime fascista come 'rivelazione' dei mali storici dell'Italia. Scriveva: “Non può essere morale chi è indifferente. L’onestà consiste nell’avere idee e crederci e farne centro e scopo di se stessi”. Infine - forse la frase più nota - di Antonio Gramsci, politico comunista, che per le sue idee finì nelle galere fasciste: ”L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”. Questa storia dell’indifferenza sta diventando un mio rovello e lo dico a futura memoria e avendo difficoltà a capire come si possa passare dalla diagnosi alla cura. Lo è in una logica politica ai diversi livelli. Pensiamo a elementi basilari della democrazia che scricchiolano. Il fenomeno valdostano delle liste uniche dei Comuni si accompagna alla difficoltà addirittura di avere persone che vogliano impegnarsi nell’amministrazione. Idem per il mondo del volontariato, dove manca il passaggio di testimone ai giovani. L’indifferenza la si vede, anche da noi, nel macroscopico dato dell’astensionismo al voto e ancor di più dalla fine di una reale partecipazione alla vita dei partiti. L’impressione è che ci sia in tutto l’Occidente - come male comune - una specie di smarrimento e lo si vede in maniera evidente da certi sbandamenti nell’esame delle vicende delle guerre Ucraina e nella vicenda del conflitto israelo-palestinese. Tornano visioni ideologiche che lasciano perplessi e che minano l’ unitarietà dell’Occidente, che si trova vere e proprie serpi in seno, brandendo la democrazia per esserne in realtà un nemico ed è uno straordinario paradosso. Lo diceva il politologo Norberto Bobbio: “Di certezze – rivestite della fastosità del mito o edificate con la pietra dura del dogma – sono piene, rigurgitanti, le cronache della pseudocultura degli improvvisatori, dei dilettanti, dei propagandisti interessati”.