“Ho sempre pensato al Natale come ad un bel momento. Un momento gentile, caritatevole, piacevole e dedicato al perdono. L’unico momento che conosco, nel lungo anno, in cui gli uomini e le donne sembrano aprire consensualmente e liberamente i loro cuori, solitamente chiusi”. (Charles Dickens) L’arrivo del Natale fa pensare e anche questa frase fa pensare. Intendiamoci in premessa: tutto un penchant nostalgico la fa, anzitutto, da padrone e lo condivido. Il Natale è infanzia con il calore di una festività che è un unicum. Appaiono così dei flash dal passato, come fantasmi dickensiani buoni, con quei momenti indelebili di quando si era bambini ed esisteva quel sentimento poi appannatosi nel tempo, che è lo stupore. Diceva Albert Einstein: “Chi non riesce più a provare stupore e meraviglia è già come morto e i suoi occhi sono incapaci di vedere”. Questo mi pare un primo impegno per rispetto per sé stessi. Ma se dovessi dire quel che più mi interessa in queste poche righe è segnalare un pericolo crescente, che forse proprio nel Natale si manifesta, che sia nei giorni precedenti o nel giorno stesso. Si tratta della terribile solitudine. Un articolo sul sito Fondazione Veronesi spiegava: “Social media: lo dice la parola stessa, mezzi di comunicazione sociale. Dunque più amici, scambi, calore, più affetti. Insomma i benefici di una intensa vita sociale. E invece no: più senso di solitudine e depressione. Nel mirino Facebook, Snapchat, Instagram, messi sotto indagine dall’Università della Pennsylvania (Usa) che dichiara di avere, alla fine, rilevato un legame causale tra la quantità di tempo speso con questi social media e l’aumento di depressione e solitudine”. Ha scritto Simone Cosimi su Vanity Fair: “L’iperdigitalizzazione può avere molti rischi. Uno di questi è illuderci di essere sempre in compagnia virtuale, circondati da «amici» o presunti tali. E infine, però, gettarci in una situazione di effettivo isolamento se non di solitudine. Lo denuncia per esempio da diversi anni il neuroscienziato tedesco Manfred Spitzer, che a questi argomenti ha dedicato diverse pubblicazioni fra cui i saggi «Demenza digitale», «Solitudine digitale» e l’ultimo «Connessi e isolati»”. Titoli del tutto significativi e nell’articolo si aggiunge: “È solo uno dei molti casi di studiosi che hanno cercato di mettere in guardia le persone, cittadini dei continenti digitali ormai da miliardi di utenti, del cortocircuito che può crearsi all’incrocio fra la ben nota «fomo», la fear of missing out, la paura di rimanere tagliati fuori da notizie, aggiornamenti e magari pure pettegolezzi, e la condizione concreta delle persone, sempre più incastrate in società ipercompetitive e spietate dove il tempo per la socialità vera è sempre di meno, e sempre più sottratto proprio dalle controparti digitali in una routine serrata. D’altronde la solitudine è un’esperienza umana universale che può riguardare tutti, in momenti diversi della propria vita. Il punto è capire in che modo le piattaforme sociali possano, oltre una certa soglia di utilizzo o addirittura dipendenza, esserne la causa. O quanto meno favorirla. Un’indagine dello scorso anno pubblicata sull’American Journal of Preventive Medicine spiegava per esempio che più tempo trascorriamo su Facebook, Instagram, Twitter, TikTok e gli altri e più la nostra sensazione di essere isolati aumenta”. A Natale, come esercizio salutare e riflessione prospettica, spegniamo tutto!