Ho sempre detto di come il giornalismo resti parte di me e mi piace guardare al futuro di una professione, scossa in profondità dai cambiamenti in atto. I segni più evidenti stanno nella crisi profonda dei giornali cartacei, nella confusione dell’informazione sul Web, nella proletarizzazione della professione. Ora un fantasma si aggira nelle Redazioni, già costrette da logiche di smart working al venir meno della socialità necessaria in un lavoro d’équipe. Si tratta dell’Intelligenza Artificiale e dal rischio, già bene in vista, di una sostituzione ulteriore di persone in carne ed ossa per la confezione delle notizie. Leggevo su Professione Reporter delle riflessioni interessanti di Stefano Brusadelli, giornalista e scrittore. Così racconta: “Secondo un rapporto presentato alla fine dello scorso anno dalla multinazionale di consulenza strategica Roland Berger, la professione giornalistica è tra quelle più esposte al rischio di essere danneggiata dai progressi dell’AI generativa, ossia l’intelligenza artificiale capace di produrre testi. La profezia, peraltro avanzata da più parti, sta già trovando le sue prime conferme. In due importanti quotidiani tedeschi, Bild e Die Welt, sono stati decisi tagli di organico nei settori controllo testi, impaginazione e scelta delle foto, dove l’AI può svolgere in modo più economico le funzioni finora assegnate a giornalisti. Nello scorso maggio News Guard ha comunicato che erano già arrivati a 125 i siti che forniscono notizie senza l’ausilio di esseri umani. Nel telegiornale di Kuwait News la conduzione è stata affidata ad una avatar di nome Fedha, e analoghi esperimenti sono stati effettuati in Cina dal gruppo multimediale di stato cinese Xinhua. Inoltre, ed è quel che più preoccupa, numerosi esperimenti compiuti chiedendo ad una chatbot la redazione di articoli hanno prodotto risultati soddisfacenti, in molti casi migliori di quelli che avrebbe conseguito un redattore svogliato e poco documentato”. Una situazione che genera angoscia e preoccupazione. Ma Brusadelli, più avanti nell’articolo, così reagisce: “Invocando il motto di Sant’Agostino “ex malo bonum“, l’avvento dell’AI potrebbe addirittura finire col rianimare un mestiere che sta dando, e non solo in Italia, vistosi segni di appannamento. Se si parla di informazione, esiste infatti un solo ambito precluso all’AI. E’ quello dei fatti che non sono ancora noti. Una chatbox potrà scrivere accurate analisi sulla base di elementi che già possiede, ma difficilmente potrà penetrare nella mente e nelle intenzioni degli esseri umani, o rivelare le trame in atto nei luoghi opachi del potere. In altre parole, l’AI (almeno per ora) non è in grado di fare scoop. Il giornalismo d’inchiesta fu alla base delle vicende più brillanti nella storia della stampa italiana. Basti pensare a Il Giorno, L’Ora, Panorama, l’Espresso. Testate capaci di costruire inchieste sorprendenti, ben documentate, pazienti, senza riguardi nei confronti della proprietà e degli investitori pubblicitari. Tornare a scavare nella realtà e smettere di rimasticare i temi già cucinati dalla Rete e dalla televisione speziandoli con l’opinionismo, diventerà per il giornalismo l’unica formula possibile per una onorevole sopravvivenza. Grandi giacimenti di notizie sono, tuttora, scarsamente o per nulla esplorati”. Mi viene in mente il lavoro dei miei esordi: di fatto nessuna agenzia di stampa, se non con rarissimi lanci, si occupava della Valle d’Aosta, gli uffici stampa inviavano rare veline, non esisteva il Web e di conseguenza non c’erano siti informativi. Bisognava scovare notizie e alimentare approfondimenti. Insomma, quello che dovrebbe essere il giornalismo…