Antonio Scurati, scrittore e giornalista che apprezzo da sempre, su Repubblica propone con un suo articolo uno spaccato di cui sarebbe bene tenere conto e segna un interessante punto a favore della verità e contro il comodo conformismo. Non sono un esaltatore dell’autorità come feticcio, ma come un insieme fatto da senso di responsabilità, educazione e disciplina.
Dice Scurati all’inizio del suo appello civile: “ «Come possiamo rispettarla, prof, se viene a scuola con una Punto bianca senza nemmeno gli specchietti in tinta?!». Me lo ringhiò anni fa uno studente a cui cercavo di imporre la disciplina scolastica. Ripenso a quell’affronto ogni volta che un alunno insulta, schernisce o addirittura aggredisce i suoi professori, com’è accaduto di recente a Parma. Ci ripenso perché, al di là dei casi specifici, questi episodi, purtroppo sempre più frequenti, s’inscrivono nell’orizzonte più ampio della verticale caduta del prestigio degli insegnanti. L’aneddoto autobiografico mi pare calzante per il seguente motivo: se, nei decenni della contestazione giovanile, quel prestigio fu intaccato da ragioni politico-ideologiche, nei decenni successivi è precipitato per motivi socio-economici. I professori italiani, com’è noto, sono tra i peggio pagati d’Europa (al 31 esimo posto, davanti solo a Portogallo e Grecia) e, purtroppo, i figli della nostra società, nella quale il culto del denaro cresce in misura proporzionalmente inversa alla distribuzione della ricchezza, li disprezzano per le utilitarie con cui si recano al lavoro (che qualche volta, addirittura, esibiscono specchietti retrovisori non verniciati o altri imbarazzanti dettagli).
L’impoverimento economico non basterebbe, però, da solo a causare il declino sociale del ceto insegnante. Oggi è l’intera società che sembra remare contro la scuola. A professori malpagati, trascurati, dimenticati, viene affidato nominalmente il compito cruciale di educare, istruire, incivilire le nuove generazioni ma la società, appena fuoriesci dal perimetro dell’edificio scolastico, muove in direzione opposta e contraria minando sistematicamente la loro autorità. Lo fa in svariate maniere, molte delle quali riconducibili al concetto di populismo se con esso intendiamo genericamente la situazione in cui qualcuno o qualcosa viene innalzato ad autorità indiscutibile perché si ritiene espressione di bisogni, desideri o volontà popolare.
Innanzitutto, a desautorare gli insegnanti, esponendoli inermi alla proterva aggressività giovanile, contribuisce il populismo estetico. Da tempo i professori italiani vanno perdendo ogni autorità nello stabilire il valore dei prodotti culturali che contribuiscono potentemente a plasmare l’immaginario collettivo, trovandosi costretti a subire e non a guidare le scelte dei loro allievi”.
Scurati cita poi, senza peli sulla lingua, il recente Festival Sanremo e certi appelli sbagliati lasciati ad attori di Mare Fuori (serie tv che racconta di giovani detenuti napoletani) e alla sceneggiata inscenata in favore del giovane rapper napoletano che non ha vinto il Festival e, da napoletano, picchia duro: “Nel frattempo, a decine di milioni di telespettatori di ogni età veniva richiesto di omaggiare un idolo giovanile musicalmente scadente e moralmente dubbio in base al mero criterio del televoto. In questo modo, in sole cinque serate di programmazione, la Rai, incoronando con una forza impareggiabile sottoculture deleterie, invalidava decenni di sforzi da parte di milioni d’insegnanti chiamati a fornire un’educazione estetica e civica ai loro studenti”. Scurati affonda poi un altro fenomeno distorcente: ”Da quando gli influencer sono diventati enormemente più influenti degli insegnanti, al populismo estetico si aggiunge, poi, quello sociale. Non c’è, infatti, tema rilevante che non venga, oramai, accaparrato da queste nuove figure il cui scopo prevalente, e spesso unico, è l’autopromozione ottenuta usurpando l’autorevolezza che un tempo fu della scuola, della cultura, della scienza (e della politica)”. Infine, Scurati se la piglia con il populismo politico di chi vorrebbe combattere il fenomeno delle aggressioni dei professori nelle scuole, ritenendo certi annunci sbagliati: ”Il ministro della pubblica istruzione ha subito annunciato un disegno di legge sulla condotta scolastica promettendo pene sicure e severe per gli studenti aggressori. Benissimo. Nulla in contrario. Salvo che non è una soluzione. Così come affrontare i problemi sociali con i soli strumenti penali conduce allo Stato di polizia, conferire ai docenti autorità repressiva senza ripristinare l’autorevolezza perduta trasforma la scuola in una caserma.
Il compito che attende chi davvero abbia a cuore il futuro delle nostre scuole è molto più arduo, lungo, complesso. Ci vuole pazienza, tenacia, intelligenza. La scuola, in questo frangente drammatico, va compresa, onorata, amata. Se vogliamo che i nostri ragazzi rispettino i loro insegnanti, dobbiamo rispettarli per primi noi adulti. Quanti di voi, in tutta onestà, potrebbero oggi affermare di apprezzare, rispettare e onorare il lavoro oscuro e luminoso, malpagato e prezioso svolto ogni giorno nelle nostre scuole da un esercito di insegnanti inviati sciaguratamente a combattere su posizioni perdute?”.
P.S.: Su Il Foglio, un anonimo e dunque dovrebbe essere il direttore, Claudio Cerasa, ha criticato Scurati, che avrebbe dimenticato il ruolo capitale dei genitori, specie di quelli che parteggiano smaccatamente per i figli. Aggiungo un suo passaggio, che condivido: “Le violenze nelle scuole esistono, sono spaventose, sono in crescita, ma ogni volta che una notizia di un docente aggredito, di un dirigente maltrattato, di un bidello malmenato compare sulla nostra timeline dovremmo avere la forza, la pazienza e il coraggio di non girarci dall’altra parte considerando quel problema come unicamente riguardante dei violenti e di guardarci allo specchio chiedendoci, nel nostro quotidiano, cosa ciascuno di noi fa ogni giorno per spiegare ai nostri figli quanto l’uno vale uno sia un pericoloso bug democratico non solo quando si parla di politica ma anche quando si parla di scuola. Meno sbrocchi su Whatsapp, più delega ai docenti. Meno processi agli insegnanti, più fiducia ai dirigenti. Meno chiacchiericcio sulla didattica, più responsabilità ai nostri figli, meno irresponsabilità dei genitori, più poteri ai docenti, senza fraintendere la possibilità dei dirigenti scolastici di poter decidere in autonomia come una spia di un nuovo fascismo. Il populismo, se si vuole, caro Scurati, lo si combatte anche così. A scuola, come in politica“.