La Festa della Donna - e non è ironia – è ormai una festa comandata. Sarà che mia moglie non la festeggia per una sorta di fastidio per una festa che sembra per lei gridare uno stato di minorità, per cui sono molto cauto a manifestare chissà quale gaiezza familiare e i fiori li tengo per occasioni più intime.
Tuttavia, non ci può certo non annotare qualche pensiero sulla condizione femminile, partendo per fortuna da una visione occidentale in cui il dibattito è certo vivo, partendo da situazioni in cui molti miglioramenti sono necessari, ma nulla a che fare con certe situazioni terrificanti in certi Paesi del mondo.
Nella logica del politicamente corretto e certe sue ulteriori storture woke (che sarebbe la consapevolezza contro le ingiustizie sociali di genere o di etnia) trovo del tutto insufficienti le reazioni in Paesi come l’Italia su quelle considero le due vicende macroscopiche contro le donne. Scriveva tempo fa Greta Urbani sul Sole 24 Ore rispetto alle donne in Afghanistan: “Il Paese ha assistito ad una regressione nei diritti civili e all’inversione nelle conquiste liberali e democratiche degli ultimi 20 anni. Sotto il dominio talebano, per donne e ragazze è difficile muoversi liberamente fuori da casa. Se non fidanzate ufficialmente, rischiano di essere rapite e date in sposa ai combattenti. Le ragazze sono state escluse dalle scuole secondarie. Le donne sono tenute a coprire i loro volti in pubblico e non possono percorrere distanze significative in assenza del loro mahram, un tutore maschio. Vietati i contraccettivi. Chiusi i saloni di bellezza. In breve, ogni dimensione della vita di donne e ragazze è stata soffocata”. E ancora: “Secondo il Global Gender Gap Report 2023, che confronta lo stato attuale e l’evoluzione della parità di genere a livello internazionale, l’Afghanistan è in fondo alla classifica con un punteggio generale al 40,5%. Ultimo su 146 paesi, guadagnandosi la reputazione di peggior Paese al mondo in termini di parità di genere”.
Sull’Iran ho scritto più volte e an cora in queste ore scrive Silvia Guzzetti su Avvenire: “Le donne vengono prese di mira con una "sorveglianza diffusa" negli spazi pubblici e "controlli di polizia di massa", nel caso in cui abbiano una patente e guidino. Grazie a telecamere di sorveglianza e a un app della polizia, gli agenti identificano le targhe dei veicoli e arrivano alle donne che vengono, poi, convocate con l'accusa di aver violato le norme e devono consegnare l'auto. Sono stati, così, sequestrati centinaia di migliaia di veicoli che vengono rilasciati, in alcuni casi, dopo 15-30 giorni, una volta che le donne hanno pagato delle sanzioni, considerate arbitrarie da Amnesty e ottenuto impegni scritti sul rispetto dell'obbligo del velo.
Le testimonianze ottenute da Amnesty International sono 46. A parlare sono 41 donne, un transessuale, una ragazza e quattro uomini, ma il rapporto contiene anche una serie di documenti ufficiali, tra i quali sentenze di tribunali e decreti penali, documenti di confiscazione delle auto e sms mandati dalla polizia alle donne nei quali vengono minacciate di essere private delle loro automobili se non indossano il velo. I documenti indicano che una serie di agenzie di stato sono coinvolte nella persecuzione del mondo femminile al quale viene tolto il controllo sul proprio corpo e la possibilità di esprimersi e di avere opinioni. Soltanto 20 delle testimonianze sono state rese pubbliche per consentire uno sguardo dentro la tremenda realtà quotidiana vissuta dalle ragazze e dalle donne iraniane”.d
Uccisioni, torture, stupri: questa la tragica realtà. Sarebbe bene incidere di più su queste storie, che sono esemplari non di una mancanza di diritti, ma di una loro assenza totale con punte di persecuzione che viaggiano di pari passo con l’Islam radicale.
Non voltare la faccia vuol dire anche – senza andare troppo lontano – dedicare una parte dell’8 marzo alla condizione femminile in una parte delle comunità islamiche in Italia, scavando a fondo nel fenomeno sommerso. Emergono, come punte di un iceberg, terribili casi di cronaca nera, ma esiste un vissuto quotidiano più profondo e celato in cui i diritti femminili sono negati in spregio alla nostra Costituzione e - sia chiaro - non ci sono tradizioni, obblighi religiosi, usi e costumi che possano comprimerli.