Ho scoperto con il tempo di far parte di una tribù dell’alba. Sono quelli che, quando pubblico qui quanto scrivo quotidianamente e faccio lo stesso con lo stato temporaneo di Whatsapp che evapora l’indomani, guardano quasi subito il mio primo lavoro (si fa per dire…) di giornata.
La tribù è quella delle allodole dal nome dell’uccello che per gli antichi era il messaggero degli dei e che indica chi si sveglia prestissimo.
Quello spazio mattutino mi permette di scrivere e di leggere i giornali: ginnastica mentale che mi mostra un cammino che è diventata una convinzione, vale a dire che dalle prime luci dell’alba sino a quando non ci si addormenta non si finisce mai di imparare.
Sintetizza bene il mio pensiero Karl Popper: “All’uomo irrazionale interessa solamente avere ragione. All’uomo razionale interessa imparare”.
Ci penso spesso quando incontro chi invece non lo fa e vive sereno nella sua sicumera, che è null’altro che una sicurezza presuntuosa, che ostenta una certa superiorità. Ne ho incontrate spesso persone così e in genere hanno smesso di imparare e sono prigioniere delle proprie convinzioni.
Per questo ho trovato convincente - a proposito di imparare - un ragionamento proposto da Paolo Di Stefano sul Corriere, che così comincia: “ «Non accetto lezioni da nessuno» è una delle frasi più ricorrenti nel discorso pubblico. La premier non accetta lezioni di democrazia da nessuno; dopo le vicende di Bari, Schlein, come in passato Matteo Renzi, ha detto di non accettare lezioni di moralità da Conte; ma anche Conte da premier precisava di rifiutare a priori da chicchessia lezioni in fatto di etica, di legalità e di politiche migratorie; sempre sui migranti Salvini ha dichiarato, più di recente, di non ammettere lezioni da Macron; a proposito dei finanziamenti alla cultura il ministro Sangiuliano ha puntualizzato che non vuole sentire lezioni dall’ex ministro Franceschini; da figlio di un partigiano, il ministro Valditara, appena nominato, annunciò che non intendeva prendere lezioni di antifascismo dalla sinistra. Ma anni fa un altro ministro dell’Istruzione ci aveva sorpreso ripetendo ben tre volte, in un talk show, che non accettava lezioni da nessuno su niente. Un paradosso comico che l’Istruzione neghi, sia pure metaforicamente, la disponibilità all’apprendimento. In realtà questo fiero rifiuto reciproco all’ascolto ha dietro di sé una tradizione ormai quasi ventennale che si oppone alla cattedra (scambiata per pulpito)”.
Già le prediche: mi è capitato di sentirne di bellissime e, dall’altra, di ascoltarne di inascoltabili nella logica persino ridicola dell’ex cathedra, espressione che si usa ironicamente all'indirizzo di coloro che si danno arie di sapienti.
Ancora il giornalista: “Con la fine del Novecento, il secolo delle grandi lezioni (non solo ideologiche), si è imposta una sorta di celodurismo o fai-da-te culturale per cui il «Grazie, preferisco arrangiarmi da solo…» è diventato uno slogan autopromozionale, come se l’apertura e la riconoscenza verso i suggerimenti altrui fossero un segno di debolezza. Era il 2001 quando, nel pieno delle discussioni su Occidente e terrorismo islamico, Oriana Fallaci scrisse: «Non accetto lezioni di civiltà da nessuno». Il premier Berlusconi amava ripetere che non accettava lezioni di europeismo da altri leader europei. E uscendo dalla politica: nel 2015, un altro Conte, Antonio, allora allenatore della Juventus accusato di essere iperpolemico con gli arbitri, urlò, fiutando lo spirito del tempo, che non accettava lezioni di stile. L’elenco sarebbe interminabile. Certo, «non prendo lezioni da nessuno» è un modo di dire, ma come insegna il professor Freud in certe sue «lezioni», il linguaggio nasconde sempre pulsioni inconsce. La verità profonda del nuovo millennio è, da destra a sinistra: «Non prendo lezioni se non da me stesso». E si vede”.
Null’altro da aggiungere, a voi studio…