È accaduto a Treviso e la notizia è esplosa qualche giorno fa, quando il Sole 24 Ore ha titolato: “Niente Dante a scuola, scoppia il caso degli studenti islamici esentati dallo studio della Divina Commedia”.
Nell’inizio dell’articolo il succo della questione: “Perché la dispensa da Inferno, Purgatorio e Paradiso non è arrivata dopo una protesta; è stato il professore a scrivere ai genitori dei due ragazzi, chiedendo se c'erano problemi nell'affrontare con i loro i figli l'opera a sfondo religioso del grande Alighieri. Le famiglie hanno risposto che andava evitato. La vicenda resta ancora un po' fumosa. Il docente avrebbe cercato di insistere, cedendo poi davanti al niet delle famiglie. La stessa lettera l'aveva inviata ai genitori di altri alunni che non fanno religione a scuola. Il ragionamento dev'essere stato questo: un testo impregnato di religione cattolica potrebbe urtare la sensibilità di chi non crede, o abbraccia altre fedi. Per i due ragazzi è stato organizzato un programma alternativo su Boccaccio”.
Ora sia chiaro che si tratta di un’autentica follia e il tema nel merito poco edificante si ingigantisce nel rapporto con un mondo islamico con cui bisogna dialogare, ma certo non si possono accettare diktat che avvengano nel nome del relativismo culturale. Si tratta della concezione secondo la quale gli elementi di una data cultura vanno compresi e accolti. Ma il relativismo culturale non deve essere considerato come il mezzo per giustificare qualunque comportamento e soprattutto non deve significare un disprezzo indiretto per le culture dei Paesi dove si vive. Ci devono essere, infatti , dei limiti ragionevoli e in primis il rispetto - nella visione occidentale - dei diritti e doveri che fondano lo Stato di diritto.
Così l’ordinamento democratico deve essere accettato da chi sceglie di essere migrante e ancor di più in caso di una nuova cittadinanza in Occidente.
Scrive Paolo di Stefano sul Corriere: ”È insensato in generale che venga censurato un autore del passato perché non appare in linea con le nostre sensibilità attuali. Su queste basi, non c’è opera (quasi) o personaggio che risulti accettabile: Caino è senza dubbio un pessimo esempio per le nuove generazioni e il minimo sarebbe vietare la Bibbia. Di conseguenza chi ha il coraggio di mostrare ai propri figli il dipinto di Caravaggio con la testa mozzata di Oloferne e il sangue che sprizza ovunque? Buttiamo Caravaggio. Emma Bovary e Anna Karenina sono vittime di un’epoca vergognosamente inadeguata alla nostra età magnifica e progressiva. Buttiamo Flaubert e Tolstoj. Su questa linea in Florida è stato vietato l’ingresso in aula a Romeo e Giulietta, ad Amleto, a Macbeth, variamente debosciati e razzisti. Spesso i capolavori offrono discutibili modelli di moralità”.
Ma veniamo al punto in premessa: “E Dante? In una scuola media di Treviso due studenti musulmani sono stati magnanimamente esonerati dalle lezioni sulla «Commedia», dove Dante mette alla berlina Maometto, squarciato dal mento «infin dove si trulla» (fino a dove si scorreggia), in quanto seminatore di scisma (l’Islam era allora considerato una propaggine eretica del cristianesimo). Rendere facoltativa la lezione di religione, in uno Stato laico, è più che legittimo. Ma la letteratura non è una religione, è il territorio della libertà inventiva: Dante si permette di condannare Maometto ma esalta come spiriti magni il Saladino e il filosofo Averroè. La scuola che, 700 anni dopo, non crede in questa libertà è più arretrata del medievale Dante. E più ipocrita”.
E lo è anche chi, da genitore, vieta al figlio di studiare Dante e frappone - con un veto sbagliato - ostacoli ideologici e così facendo, limita le conoscenze del figlio e la sua integrazione, pur nel rispetto delle proprie radici.
Ma sarà in fondo il termine integrazione ad essere indigesto per alcuni che preferiscono vivere in società parallele con proprie regole?