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29 lug 2024

Lassù sulle montagne

di Luciano Caveri

L’estate è la stagione ideale per le passeggiate in alta quota in montagna. Si tratta di esperienze che ricaricano in quel misto di fatica, di attività fisica e di estasi di fronte alla bellezza dei luoghi.

Scriveva il grande montanaro Mario Rigoni Stern, scrittore vero di montagna e non finto prodotto editoriale: ”Basterebbe una passeggiata in mezzo alla natura, fermarsi un momento ad ascoltare, spogliarsi del superfluo e comprendere che non occorre poi molto per vivere bene”.

Schiavi del telefonino come siamo, possiamo dire davvero che salire in montagna…ricarica le nostre batterie.

Il grande alpinista Reinhold Messner ricorda sempre come: “Camminare per me significa entrare nella natura. Ed è per questo che cammino lentamente, non corro quasi mai. La natura per me non è un campo da ginnastica. Io vado per vedere, per sentire, con tutti i miei sensi. Così il mio spirito entra negli alberi, nel prato, nei fiori. Le alte montagne sono per me un sentimento”.

Per chi abiti in Valle d’Aosta si tratta di ”fughe” usuali sin da piccoli e, anche in una porzione di Alpi relativamente piccola, le escursioni sono tante e la sentieristica è una rete di ragno fitta e suggestiva, così come lo è l’insieme dei rifugi che possono essere la tappa finale di una gita con qualità enogastrononica che pare far sobbalzare alcuni puristi del Club Alpino convinti che essere spartani sia espressione di chissà quale salubrità.

Non sto facendo, nel dire della Valle d’Aosta, un depliant della mia terra: per chi abbia voglia di scoprirla consiglio la visita al nuovo sito del Turismo lovevda.it, frutto anche del lavoro del Dipartimento dell’Innovazione di cui mi occupo con la società in house INVA. Ormai è indubitabile come il Web e le molte tecnologie che veicola siano un tratto essenziale del rapporto con il mercato.

Ma sto divagando. Vorrei tornare alle alte quote e alle prospettive future. La natura incontaminata, ma sempre in una presenza umana come dimostra l’antica pratica dell’alpeggio con la monticazione del bestiame giusto sotto le vette, occupa una larga parte del territorio della Valle. La caratteristica di un’altimetria elevata sarà una carta da giocare a fronte del cambiamento climatico, che pure modificherà il territorio alpino in generale con vittime sacrificali come i ghiacciai, che soffriranno e in larga spariranno per l’aumento delle temperature.

Questa circostanza che ha una componente decisiva di responsabilità umana crea giocoforza delle necessarie reazioni. Penso alla risposta ai fenomeni idrogeologici estremi, ai costi delle strutture di tutela della presenza umana, al cambiamento di abitudini. Un insieme di misure di adattamento che avranno un’impronta non solo tecniche ma culturali.

Nel settore turistico sarà proprio la verticalità ad essere una chance, perché le quote elevate saranno garanzia di temperature rinfrescanti e aria pura, mentre le pianure e le città diventeranno sempre più vittime di temperature torride e aria viziata che spingeranno verso le montagne. Lo dico per il turismo, forse sarà anche per viverci e sarebbe una chiave di ripopolamento per paesi e vallate scosse dallo spopolamento e dal calo demografico.m

Bisogna prepararsi a questo come elemento reattivo all’incidere del cambiamento climatico. Un fenomeno progressivo, cui reagire e non scandalizzi la logica, in zone circoscritte, come nel collegamento intervalli o fra Cervino e Monte Rosa, che si immagini di salire dove la neve sarà garantita ancora per i decenni a venire. E non scandalizzino se ci sono funivie come lo Skyway di Courmayeur che portano i turisti verso i panorami del Monte Bianco.

Sono scelte per continuare a vivere in Valle d’Aosta e non stupri della Natura selvaggia, che esiste solo nei sogni di chi non conosce la cultura alpina e ritiene erroneamente che gli esseri umani non siano componente essenziale dell’ecosistema, ma una specie di presenza ingombrante. Potrebbero fare come negli States dove le tribù indiane che occupavano una parte degli attuali Parchi nazionali furono sradicati e portati nelle prigioni a cielo aperto delle riserve indiane.

Spero di non aver dato un’idea a certi ambientalisti e animalisti.