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18 ago 2024

La strana storia dei balneari

di Luciano Caveri

Ho avuto la fortuna per una ventina d’anni, a partire da quando avevo sei mesi, di passare le estati a Imperia, essendo mia mamma a Castelvecchio di Oneglia

Per cui l’habitat in cui vivevamo era la spiaggia. Dai racconti familiari - ma io di quello non ho memoria - si andava qualche volta nella spiaggia libera detta Galeazza fatta di ciotoli (quelli me li ricordo perché il vetro veniva sagomato dal mare, trasformando schegge in simil pietre preziose), mentre ho memoria - e pure testimonianza fotografica - della spiaggia in cui sono stato di più nella mia vita, la Spiaggia d’Oro di Porto Maurizio, dove da neonato son diventato bambino, poi adolescente e poi giovane, tornando raramente in quei luoghi da adulto.

Per cui quando si accende, con regolarità, la polemica sui balneari, cioè i gestori di bagni e spiagge, mi sento preparatissimo almeno nel capire non solo la location, ma anche i meccanismi di funzionamento.

Il tema caldo sono le concessioni e mentre noi montanari non vediamo soluzione certa all’annoso problema del settore idroelettrico che rischia di passare in caso di gara in chissà quale mani in barba alla sovranità energetica in presenza di tasse (pure sui supposti extraprofitti…) e dividendi che sono limpidi, i balneari contano su politici molto molto amici che cercano soluzioni per mantenere status quo e privilegi. L’ultima évince rinvio nel 2029 della possibili gare in barba alla giurisprudenza che dice il contrario, così come l’Unione europea.

Di certo andrebbe messo ordine, perché lo Stato sulle spiagge e sugli stabilimenti balneari rischia di fare, per via dei governanti amici, la figura del cretino. Ne scrive, con approccio tecnico senza i sentimentalismi di altri, Raffaella Mari su laleggepertutti.it e lo fa con sintesi mirabile.

Così esordisce: ”Il settore dei lidi balneari è attualmente al centro di intense polemiche. Questo non solo a causa dell’ennesimo rinnovo delle concessioni senza il ricorso a una gara pubblica, come richiesto dalla direttiva Ue “Bolkestein” sulla libera concorrenza, ma anche per la significativa discrepanza tra i redditi dichiarati e quelli effettivi. Tale situazione evidenzia una diffusa evasione fiscale particolarmente difficile da contrastare. Sulla base dei dati ufficiali depositati presso e della ricostruzione delle spese effettive, vediamo quanto guadagna uno stabilimento balneare, quali sono i costi di produzione, a quanto ammonta una concessione”.

Insomma, pane e pane e vino al vino:

”Il settore dei lidi è rappresentato da 7.244 imprese balneari di cui solo 2.270 quelle che depositano regolarmente i bilanci. Queste ultime sono costituite per lo più in forma di società di capitali e, in particolare, in SRL. pLe persone che lavorano grazie agli stabilimenti sono circa 50mila. Si tratta dunque di un indotto di occupazione che, seppur di tipo stagionale, muove discretamente l’economia locale”.

L’autrice fa a questo punto un passo indietro: ”Cerchiamo innanzitutto di capire cos’è una concessione balneare. Si tratta di un atto amministrativo con il quale il Comune affida a privati l’utilizzo di un tratto di spiaggia per svolgere attività turistico-ricreative, come la gestione di stabilimenti balneari. In Italia, questo sistema è in vigore da decenni, e ha portato alla creazione di un vero e proprio settore economico. Molte concessioni sono state rinnovate più volte nel corso degli anni, creando una situazione di stallo e impedendo l’ingresso di nuovi operatori. La direttiva Bolkestein, che riguarda i servizi nel mercato interno, prevede che le concessioni demaniali siano assegnate tramite procedure competitive periodiche. L’Italia è stata più volte condannata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per non aver rispettato questa direttiva. La durata eccessiva delle concessioni ha limitato la concorrenza, con conseguenti rincari dei prezzi e una riduzione della qualità dei servizi offerti. governi italiani, per non inimicarsi i balneari, hanno quasi sempre prorogato in modo automatico la scadenza delle concessioni, in barba alla reiterata procedura di infrazione Ue. Moltissimi stabilimenti, infatti, vengono tramandati di generazione in generazione, quasi fossero dei beni di famiglia”.

Tralascio la parte giuridica perché molto tecnica e veniamo con Mari alla sostanza: ”Per capire quali sono gli interessi in ballo vediamo anzitutto quanto guadagnano i balneari. I dati elaborati in esclusiva da InfoCamere sui bilanci fotografano una realtà in cui, in media, nel 2022, il fatturato ammonta a 405.762 euro, i costi di produzione a 381.005 euro, l’utile ante imposte a 26.035 euro per un utile netto di poco più di 10mila euro annui. Si tratta naturalmente dei “redditi ufficiali”, che non tengono conto dell’evasione fiscale, peraltro assai diffusa e spesso difficilmente contrastabile. Difatti, nel settore degli stabilimenti balneari, l’acquisto della materia prima – gli ombrelloni e le sdraio – avviene una tantum e non in proporzione alla clientela (come invece accade nella ristorazione dove gli accertamenti fiscali e la ricostruzione del reddito effettivo avvengono anche sulla base delle consegne di cibo, delle spese per lavanderie e tovaglioli di carta)”. Ma quel che colpisce è altro: “Veniamo ora al capitolo spese e tasse che gravano sui balneari. Innanzitutto c’è Imu che, secondo la Cassazione, grava anche sui prefabbricati in legno amovibili (comprese le cabine per il ricambio), la Tari (l’imposta sulla spazzatura), chiaramente le imposte sul reddito (Ires), le spese per ilpersonale, la manutenzione dell’arenile e poi, ovviamente, il canone in base ai metri quadrati in concessione e il tipo di struttura (area scoperta, area con impianti di facile o difficile rimozione). E proprio sulla misura dei canoni demaniali che si è concentrata, di recente, la maggiore polemica. Questi sono estremamente bassi e, a detta di molti, consentono alle imprese balneari, di marginare quei maggiori ricavi che risulterebbero in contrasto con la capacità contributiva che il settore garantisce. Rimasti sostanzialmente invariati dal 1989 al 2020 e poi aumentati dal governo Draghi, che ha portato il minimo da 360 a 2.500 euro, tali canoni sono cresciuti nel 2023 a 3.377 euro mentre nel 2024, grazie alla frenata dell’inflazione, sono calati a 3.225,5 euro annui. Secondo un report di Legambiente del 2023, l’incidenza media del canone sul fatturato di uno stabilimento si attesta tra l’1,2% e l’1,3%.

Emblematico è il caso delle spiagge di Rimini dove le 410 concessioni cittadine versano al demanio appena 3.192.957 euro rispetto a centinaia di milioni di euro di fatturato. Il settore degli stabilimenti balneari ha registrato una notevole crescita, con un aumento del 26% nel numero di stabilimenti dal 2011 e un incremento del giro di affari del 43,5% tra il 2018 e il 2022. Nonostante queste cifre impressionanti, la redditività rimane modesta: le spese sono aumentate del 40,2% negli ultimi cinque anni e l’utile ante imposte si attesta solamente al 4,9% del fatturato. Di conseguenza, un utile netto medio di 10.000 euro appare decisamente irrisorio e poco credibile”.

Insomma: 10.000 euro!

Il finale è ulteriore sottolineatura di che cosa capiti in Italia: ”Secondo una più approfondita analisi, i redditi dichiarati non riflettono pienamente i guadagni reali del settore. Una parte significativa dei ricavi continua ad essere generata in modo non trasparente. Tra le pratiche comuni, si annoverano il noleggio di pedalò, tavole da surf e SUP, il rapporto con i fornitori (gelati, bibite, materie prime per la ristorazione), gli abbonamenti stagionali rinnovati di anno in anno e pagati cash, o parzialmente cash, i conti al bar e al ristorante saldati settimanalmente o a fine vacanza, emettendo scontrini per una parte minima del consumato, oppure il doppio prezzo per chi paga in contanti e chi con la moneta elettronica. Inoltre, alcuni stabilimenti eludono gli obblighi legali, come il pagamento corretto dei lavoratori stagionali, che spesso risultano non regolarizzati o sottocontrattualizzati rispetto alle ore effettivamente lavorate. Per quanto riguarda il canone demaniale, nonostante sia considerato irrisorio, nel 2023 ha mostrato un tasso di evasione del 18,4%: dei 95,3 milioni di euro dovuti, solo 77,8 milioni sono stati effettivamente incassati. Di conseguenza, secondo gli Indici Sintetici di Affidabilità Fiscale (ISA, ex studi di settore), il 50% delle dichiarazioni fiscali delle aziende balneari risulta non conforme”.

Resta poco da aggiungere e lo scrivo senza logiche di colpevolizzazione: i dati lo fanno da soli.