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30 ago 2024

Tutelare e valorizzare la Natura

di Luciano Caveri

Bisogna sempre imparare qualcosa, specie quando si è in ambienti sconosciuti ed è opportuno di conseguenza affidarsi agli esperti.

Sono entrato in questa logica nel mio recente giro in Africa, prima terrestre e infine marino.

Non che fosse la prima volta: avevo visitato per turismo già diversi Paesi del Nord Africa e mi ero acculturato con deserti e mari, così come ero stato per lavoro in Paesi come il Mali e il Camerun, ma mai nella zona più meridionale dello stesso Continente (certe isole, dove sono stato nell’Oceano indiano hanno comunque parecchie similitudini).

Così rendiconto alcuni insegnamenti ricevuti, anzitutto dai ranger dei Parchi che mi hanno accompagnato in giro per la savana con grande professionalità e desiderio reale di fare comprende quanto possibile nel poco tempo a disposizione. Atteggiamento che dimostra - lo dico subito - come si deve lavorare, anche con la Natura, in una logica che mischi tutela e valorizzazione con buona pace dei soliti che considerano noi esseri umani degli invasori da eliminare. Posizione estremista che dovrebbe portarli logicamente a fare harakiri e lasciare in pace chi pensa a giusti equilibri.

Mi ero acculturato su da dove venisse la parola ”savana”, che ho percorso dall’alba (anzi prima!) sino al tramonto (momento magico con colori indescrivibile), per poter interloquire con tocco colto. Ebbene, se la definizione è ”vegetazione caratteristica di certe zone tropicali aride dell'Africa, dell'America e dell'Australia”, sappiate che viene dallo spagnolo sabana "pianura senza alberi', dal taino, lingua arawak estinta di Santo Domingo.

Oddio, meglio non dirlo troppo forte in un’epoca di rivisitazione storica di tutti i personaggi che hanno dato il la al colonialismo e ai suoi orrori. A cominciare dal ricercato numero uno degli abbattitori delle statue e cioè Cristoforo Colombo. Un estremismo accecato anche questo, purtroppo.

Questi territori che ho attraversato per alcuni giorni come voyeur di specie animali africane, si chiamano anche con un termine francese “brousse” e anche in questo caso sono andato a sbirciare per capire da dove venisse e qui le lingue locali non c’entrano per nulla. Infatti questa è l’etimologia: “De l’occitan brossa («broussaille ») de même origine que brosse, le mot ayant été répandu par les troupes coloniales où les Méridionaux étaient nombreux”.

Vedere gli animali da vicino, specie nel Parco Kruger, è stato bello. Non uso troppi aggettivi, basta questo. Certo, dentro quel territorio, esiste un’evidente abitudine alla presenza umana, specie se accompagnati dagli indispensabili esperti, e questo significa anche - altra faccia della medaglia - un protezione da quel bracconaggio che stermina altrove certe specie per soldi.

Tra macchine fotografiche e binocoli è un continuo scrutare alla ricerca di scoperte che restano impresse più nel cuore che nelle fotografie o nei filmati.

Mi ha colpito la frase di uno dei ranger: ”Gli erbivori vanno d’accordo perché c’è cibo per tutti, mentre i carnivori questi non avviene e dunque si battono”. Chissà che bestie siamo noi umani onnivori. Temo che, guardando alla storia e pure al presente, siamo bestie feroci…

Sono poi stato in Mozambico, nell’isola di Bazaruto - anch’essa e spiagge lunghissime, accompagnato da giovani con la loro bella parlata portoghese.

Non è tanto la suggestiva e intatta barriera corallina che mi ha colpito, avendo una certa frequentazione in passato dei fondali marini in altre zone pregiate. Ma mai avevo visto le balene! Belle, bellissime: mi aprono, se potrò, nuovi orizzonti per ritrovarle!

Come ha scritto Marcel Proust: ”Le véritable voyage de découverte ne consiste pas à chercher de nouveaux paysages, mais à avoir de nouveaux yeux".