Capita nelle chiacchiere con gli amici di concordare, ma credo sia constatazione abbastanza diffusa, sulla generale diminuzione delle competenze e delle capacità cognitive.
Se uno dovesse volgarizzare – e credo che si capisca che lo faccio con un sorriso – sembra diffondersi quanto profetizzato da una coppia di autori che amo moltissimo e rimpiango anche per certi editoriali su La Stampa.
Prima li cito e poi li evoco: “E' stato grazie al progresso che il contenibile "stolto" dell'antichità si è tramutato nel prevalente cretino contemporaneo; ma una società ch'egli si compiace di chiamare "molto complessa" gli ha aperto infiniti interstizi, crepe, fessure orizzontali e verticali, a destra come a sinistra, gli ha procurato innumerevoli poltrone, sedie, sgabelli, telefoni, gli ha messo a disposizione clamorose tribune, inaudite moltitudini di seguaci e molto denaro. Gli ha insomma moltiplicato prodigiosamente le occasioni per agire, intervenire, parlare, esprimersi, manifestarsi, in una parola (a lui cara) per "realizzarsi"“.
Queste frasi, scritte prima dell'esistenza del Web, dalla coppia impagabile di scrittori sagaci e spiritosi che furono e sono negli scritti Fruttero (Carlo) & Lucentini (Franco), sembrano come una profetica rivelazione.
Ho già ricordato come il termine sia di origine francoprovenzale "crétin". Nell'esemplare "Nouveau dictionnaire de patois valdôtain" di Aimé Chenal e Raymond Vautherin si legge una duplice definizione. Cominciamo da quella scientifica: "Nom de l'individude l'espèce humaine de l'idiocisme très poussé, de taillegénéralement assez basse et ayant une apparence extérieure plutôtchétive". Spiega la "Treccani": "Cretinismo (dal francese-provenzale "crétin, poveruomo" entrato nel francese scientifico nel XVIII secolo). E' una malattia endemica, diffusa tra gli abitanti di molte regioni montuose, dalle quali s'irradia talvolta alle colline prossime e alla pianura. Moltissimi cretini sono gozzuti, o possiedono una tiroide profondamente alterata (vedi "gozzo"), e l'insufficienza funzionale che ne segue è il punto di partenza della malattia". "Crétin" ha però una etimologia che rende in modo chiaro la pietas che la comunità poteva avere verso queste persone, visto che deriva da "chrétien: mot de compassion devenupéjoratif". Che il fenomeno fosse diffuso sulle Alpi è ben noto anche dalle cronache dei visitatori del passato, che calcavano spesso su questi fenomeni per segnalare la povertà delle zone montane. Ma l'uso comune - passate le ragioni prevalentemente alimentari che originavano il fenomeno - è testimoniato dal secondo significato del dizionario del patois: "Familièrement: homme stupide", da cui le espressioni «T'ë fran crétin» o «Fé pa lo crétin».
Se uno dovesse, fuor da queste considerazioni, riflettere su una tendenza dovrebbe lavorare sul famoso quoziente intellettivo (QI), che è un numero che esprime il rapporto tra il livello intellettivo di una persona, misurato attraverso appositi test, e quello della media dei soggetti appartenenti alla sua stessa condizione socio-culturale e fascia di età. Il QI viene considerato come una misura dell’intelligenza o dello sviluppo cognitivo di un individuo .
Ebbene, 1938 fino a circa il 1985, in tutto il mondo industrializzato, il QI della popolazione è stato in crescita (Flynn J. 1987). Il primo ad osservare questo fatto fu James Robet Flynn ed il fenomeno prese allora il nome di effetto Flynn. A partire dai primi anni Duemila si è cominciata a rilevare una tendenza inversa, il quoziente intellettivo, con il passare degli anni, anziché aumentare nella popolazione, diminuisce. Interessante quanto scrive Francesco Palmieri su Il Foglio: “Le medicine più efficaci per la mente sono a costo zero e senza controindicazioni. Chi vuol concedersi un regalo riprenda a scrivere un po’ a mano; non dismetta i congiuntivi; memorizzi qualcosa che gli dia piacere. Sono i suggerimenti con cui il neurologo e psicoterapeuta perugino Pierluigi Brustenghi”.
Segue una bella intervista che inizia dal già citato “effetto Flynn che sembra invertirsi in negativo: “Un’ipotesi plausibile è che dipenda dall’egemonia della multimedialità, ma in quale misura è difficile stabilire. Uno studio cinese ha rilevato negli adolescenti che trascorrono dieci ore al giorno online un’atrofia cerebrale del venti per cento. Al di là delle ricerche, sappiamo che il cervello si sviluppa lentamente: il lobo frontale, fondamentale per le scelte etiche e i comportamenti, arriva a maturazione a venti, venticinque anni.”.
E aggiunge: “Recuperare lo spazio per la riflessione aumenta la capacità di connessione tra le aree corticali e sottocorticali e dà maggiore plasticità al cervello. Le sinapsi cambiano organizzazione ogni volta che impariamo qualcosa, per esempio le parole. Chi è più ricco di parole avrà più successo nella vita. Se è vero che il linguaggio dice chi siamo, le alterazioni dei linguaggi giovanili sono la spia dell’attualità. C’è un uso eccessivo del tempo verbale presente mentre sta scomparendo il modo congiuntivo, che esprime sogni, desideri, possibilità. Non usarlo significa trascurare aree importanti del lobo frontale, con un impoverimento di espressività e comportamenti”.
Riprende poi i suggerimenti già evocati: “Quando scriviamo a mano attiviamo dodici aree cerebrali, quando digitiamo soltanto una o due. Maria Montessori diceva che la mano è lo strumento espressivo dell’umana intelligenza e il gesto corrisponde all’emozione: la congruità tra mente, emozione e gesto è un obiettivo che dovremmo trasmettere ai giovani. Chi scrive a mano ha una memoria più funzionale e i ragazzi che se ne sono disabituati usano lo stampatello perché il cervello non è allineato all’organizzazione gerarchica delle parole, quindi dei pensieri. Scrivendo a mano bisogna pianificare, eseguire le lettere, correggerle. Si tratta di rivalutare l’embodied cognition: il corpo che modella la mente”.
C’è poi la lettura cartacea: “Se leggiamo su carta favoriamo la capacità riflessiva: sottolineiamo, appuntiamo, tendiamo a tornare indietro laddove la lettura online spinge ad andare avanti. Inoltre l’area corticale visiva è molto sviluppata nei giovani, in particolare la V3 che si attiva per le cose in movimento a discapito della V2 che si attiva per le immagini ferme, perciò chi s’imbottisce di videoclip amplifica la V3 e sarà meno portato a leggere. Non svilupperà il pensiero lento”.
Viene poi evocata una difficoltà della nostra infanzia: imparare le poesie a memoria: “Le capacità mnemoniche devono essere stimolate. C’è quest’idea che il cervello sia un hardware e la mente un software, ma la mente è molto di più e risente di quanto il corpo ha memorizzato. E se l’emozione aiuta a memorizzare, il miglior modo per rianimare i ricordi è riviverli con il ricorso ai sensi, anche se rimemorizzeremo in maniera diversa perché la vita ci ha cambiato e daremo diverso valore alle cose. Non bisogna pensare al tempo come frazionato, ma come un flusso che consente di attingere in retrospezione rimescolando tutto. La memoria è il presente del passato, la visione è il presente del presente, l’attesa è il presente del futuro”.
Suggerimenti che mi piacciono molto e che credo assai preziosi anche contro l’invecchiamento.