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28 ott 2024

La parola, l’oratoria, la retorica

di Luciano Caveri

"Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice un altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli studenti, con le parole l’oratore trascina l’uditorio con sé e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo generale con cui gli uomini si influenzano reciprocamente”. (Sigmund Freud)

Una lunga citazione per indirizzare i miei pensieri sulla parola. Ci pensavo in questi giorni, dopo una serie di esperienze in giro per impegni politici, che mi hanno spinto a scriverne. Intendiamoci subito: mi riferirò all’oratoria, che è come definizione semplice ”L’arte del parlare rivolgendosi a un pubblico”.

Un vero e proprio pallino per gli antichi. Chi ha fatto il Liceo Classico ricorderà versioni di greco e latino sul tema. Cicerone - che è rimasto nella storia come un grande oratore - descrisse gli aspetti tecnici in un celebre scritto in cui analizza profondamente gli aspetti della retorica e dell'oratoria: inventio (invenzione di un'orazione), dispositio (disposizione degli argomenti), elocutio (il linguaggio arricchito), memoria (capacità di ricordare) e actio (pronunciazione dell'orazione).

Questo per dire che si tratta di una tecnica, che naturalmente si aggiunge a doti naturali, che oggi non viene più studiata, anche se c’è chi organizza corsi di tipo motivazionale che sono un’ombra lontana rispetto a certi insegnamenti del passato. Quando esisteva e si insegnava la cosiddetta ”retorica”, vale a dire l’eloquenza come disciplina del parlare o dello scrivere, fondamento di gran parte dell'educazione letteraria dall'antichità classica fino a un'età molto recente. In questo gioco ad incastro spunta appunto l’eloquenza, parola nobile ma dismessa, che sarebbe ”L'arte di adattare la parola all'argomento che si vuol trattare e agli effetti che si vogliono suscitare”.

Ultimamente ho ascoltato dal vivo due Presidenti della Repubblica, Sergio Mattarella e Emmanuel Macron. È evidente come nelle rispettive Presidenze, italiana e francese, lavorano ancora esperti nella costruzione dei discorsi. Oggi si usa, un po’ a sproposito il termine ”ghostwriter”, cioè scrittore fantasma, vale a dire colui che nell’ombra redige testi e questo vale anche per chi lo deve leggere in pubblico.

Nel caso dei due Presidenti si coglie bene come non si tratti solo di lettura, ma si innesti su diverse ma convincenti doti espressive, che rendono convincente la loro prova e la capacità di empatia con il pubblico, uscendo - quando necessario dalla lettura - in quel cimento che è rivolgersi ad una platea senza usare lo scritto.

Quanto personalmente prediligo e non significa affatto non riflettere prima su che cosa dire!

Ricordo, come oratore straordinario nelle assemblee parlamentari, Marco Pannella, leader radicale, che sapeva incantare chi lo ascoltava con una capacità di eloquio rara e ficcante.

Basta oggi ascoltare le sedute parlamentari proprio su Radio Radicale per capire in quale abisso si sia precipitati con troppi politici con discorsi sgangherati e inesatti, talvolta - ma ne abbiamo anche di più vicini - con difficoltà nella lettura e con parole inventate che sono strafalcioni.

Esiste un precipizio che ho visto dal vivo a Varsavia in una riunione europea con rari oratori interessanti e anche a Bari al Festival delle Regioni.

Esemplare in quest’ultimo caso il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida in collegamento video da Roma. Doveva parlare pochi minuti e dopo quasi mezz’ora di profluvio l’organizzazione, fingendo un guasto tecnico, ha bloccato il collegamento. Non è stata una grande perdita. Il Ministro con una dialettica che metteva ansia passava, senza neppure respirare, da un argomento all’altro senza ordine e con la sola logica di vantare le sue azioni. Un caso evidente di autogol oratorio.

Altro che Cicerone…