Non ho mai pensato, rispetto alla politica valdostana ma vale nella sua generalità, che ci dovesse essere unanimismo e che si dovesse creare un sistema da partito unico.
La dialettica in politica e il confronto delle idee, che già deve caratterizzare le scelte interne nelle forze politiche e per questo lasciai l’Union Valdôtaine quando venne meno, sono il sale della democrazia nei rapporti fra le diverse forze politiche. Altrimenti si cambia regime e si scivola nella autocrazia dove trionfano infine degli svalvolati alla Putin e Kim Jong-un.
In democrazia è indispensabile un confronto fra alleati e nel rapporto fra maggioranza e opposizione. Non mi hanno mai preoccupato i toni forti o gli affrontamenti ruvidi. La politica ha regole sue e un insieme di usi e costumi, che possono piacere o non piacere, ma ci sono. Non è sempre piacevole viverci e chi se ne scandalizza con gridolini da educanda o con l’ingenuità di un bambino recita una parte o è meglio che faccia altro.
Ciò detto, il peggio che intravvedo in crescita - a costo di apparire presuntuoso - è la mediocrità. Ci sono sempre state persone improvvisate o scadenti in politica, tuttavia l’impressione è che da qualche anno siamo in picchiata nella qualità.
Non esiste solo l’astensionismo degli elettori, ma una decadenza del personale politico per la rinuncia ad esporsi nelle candidature di molte persone valide che decidono di non occuparsene.
Molte di queste non solo non scelgono l’impegno diretto, ma ormai disertano la partecipazione dentro partiti e movimenti. Abbracciano l’indifferenza e mi spingo a dire che diventano disertori della democrazia, lasciando il campo a chi in passato non aveva il coraggio di farsi avanti per mancanza di doti e capacità ed oggi lo fa senza complessi.
Così, a tutti i livelli di assemblee e governi, si nota il declino che mette in azione una sorta di macchina infernale che cozza con la speranza che ci sia sempre una buona percentuale di optimates (uso un latinismo in senso generico) nel senso di persone coscienti del ruolo con un certo background e voglia di imparare contrapposto a certa crescente mediocrità (sempre dal latino mediocris, anche se per i romani non aveva una connotazione così negativa come lo è per noi) e incapacità di crescere.
Italo Calvino ha saputo essere tagliente: “Ci sono quelli che si condannano al grigiore della vita più mediocre perché hanno avuto un dolore, una sfortuna; ma ci sono anche quelli che lo fanno perché hanno avuto più fortuna di quella che si sentivano di reggere”.
La fortuna, certo. Ma nel caso della politica ci mette lo zampino anche l’elettorato, almeno laddove i sistemi elettorali non sono bloccati e dunque la scelta finisce nelle mani dei partiti e questo vale ormai per il Parlamento italiano. Esiste qualcosa di mefistofelico e persino grottesco quando la scelta di chi va alle urne sceglie scientemente chi non ha conoscenze o doti per il posto che finirà per occupare. Perché la decisione del voto avviene per simpatia, per militanza comune, per suggerimenti o altro ancora e le conseguenze sono quelle descritte.
Sorrido quando qualcuno, dopo aver votato Tizio, mi dice di aver sbagliato e di aver scarsamente meditato la sua preferenza.
La constatazione, comunque sia, è che certa incompetenza sia virale e ammorba non solo la politica ma anche l’amministrazione pubblica. E lì contano i concorsi, che sono fermi a modalità arcaiche, che non sempre consentono la bontà della valutazione e chi si trova in posti apicali talvolta sale persino - evidente paradosso - sull’ascensore del “promoveatur ut amoveatur” ( lat. «sia promosso affinché si possa allontanarlo»). Espressione (di origine non classica) con cui - ricorda Treccani - si allude a promozione o avanzamento di grado concessi con lo scopo di rimuovere un impiegato, un funzionario da un posto al quale si sia dimostrato inetto, nei casi in cui non si voglia o non si possa agire in modo diverso nei suoi riguardi.
Capisco che tutto quel che ho scritto possa essere considerato moralismo fine a sé stesso, ma è quel che penso e purtroppo vedo.