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24 gen 2025

L’apprensione per il futuro

di Luciano Caveri

Viviamo di abitudini e la mia prima, al risveglio, è la lettura dei giornali.

Si tratta di una scelta radicata e a cui non potrei fare a meno, anche se ormai ampiamente minoritaria, guardando come - mese dopo mese - i grandi quotidiani perdano copie, senza che vengano compensate dagli abbonamenti in digitale (che sono per me la possibilità di leggere al mattino molto presto). Per cui ormai esiste un’ampia fascia di ex lettori o di chi mai ha letto i giornali.

La lettura di inizio al risveglio piuttosto antelucano è la rubrica di Mattia Feltri, giornalista bergamasco di una decina di anni meno di me, che ha iniziato a scrivere da giovanissimo ed è ora direttore di HuffPost Italia, dopo una gavetta interessante, distinguendosi con una propria personalità rispetto ad un padre importante come è Vittorio Feltri.

È sua la rubrica di prima pagina della Stampa, Buongiorno. Uno sforzo quotidiano che apprezzo moltissimo e mi sento quasi sempre in sintonia con il suo pensiero, anche perché mi paiono esistere punti di contatto nella reciproca formazione. Ebbene, oggi pubblico - e mi scuso con chi lo avesse già letto - il suo pezzo di ieri proprio per un certo idem sentire. Il titolo è “La ragazza dai grandi occhi”.

Lo trascrivo: “Europa, la ragazza dai grandi occhi, che con la sua grazia catturò il cuore di Zeus, il Dio dell'universo, s'è ormai fatta una donna un po' su con gli anni. Onusta di fascino e antica bellezza, di sapienza e saggezza soprattutto, e io credo abbia ragione Veronica De Romanis, che qui ieri ha scritto della capacità europea di venirne sempre fuori, di trovare la soluzione quando i guai si fanno seri: la crisi finanziaria, poi quella pandemica, quella energetica. Nuove idee e nuovi strumenti fanno dell'Unione qualcosa di diverso oggi da ieri, e vedremo se sapienza e saggezza daranno il consiglio giusto anche per i dazi di Donald Trump. Però Europa non è più una ragazza, è una donna su con gli anni, onusta di saggezza eccetera, e sembra sempre strabiliare in mezzo agli schiamazzi dei giovinastri. Sembra una pensionata che non riesca a dormire la notte per il vociare in strada. Uno che invade l'Ucraina, l'altro che vuole andare su Marte, il terzo e il quarto che si disputano la Palestina, il quinto che spara razzi a casaccio, e poi quello che vuole la Groenlandia e quello che vuole Taiwan, per lasciar perdere i milioni di ragazzi immigrati, che vengono a bere e a ballare proprio qua sotto. Allora Europa si mette alla finestra, dice cose di buon senso, cerca di placare la torma di matti e, siccome non ne ricava nulla, minaccia anche di scendere e di rifilare due ceffoni a quegli screanzati. Ma poi non scende, non ne ha la forza né l'ardire – dove vado alla mia età, si dice – e torna a letto sperando di prendere sonno. Ecco qual è il problema di noi europei: che il mondo ci impedisce di godere d'una serena vecchiaia”.

Parlare della vecchiaia - la mia è già più avanti di alcuni passi - è una grande rottura di scatole. Si tratta di una specie di ronzio fastidioso, di cui si avverte la presenza.

Consente, tuttavia, più che una saggezza, come talvolta si dice, una maggior consapevolezza e la struggente certezza che bisogna godere di più del quotidiano, perché la strada da percorrere è più corta per fare grandi progetti, cui però non si vuole rinunciare, perché vorrebbe dire davvero finire nel vuoto di un’attesa definitiva.

Ma questa immagine della ”serena vecchiaia” applicata al Vecchio Continente vale per le generazioni più vecchie, che si trovano con un peso in più per quello che ci circonda. E questo vale non solo per noi, ma - lo dico senza retorica alcuna - per il futuro così incerto per i nostri figli.