La primavera. Come se fosse un tema cui dare uno svolgimento guardo con grande affetto a questa stagione.
Premetto che eviterò, motivando, la storia ricorrente, legata al refrain “non ci sono più le stagioni di una volta”.
Lo dico perché non è un tormentone esclusivo del nostro tempo. In diverse epoche storiche, le persone hanno percepito cambiamenti nel clima e nelle stagioni, spesso attribuendoli a diverse cause.
In epoca romana ci furono le puntuali osservazioni di Plinio il Vecchio e di altri, che notarono variazioni climatiche.
Altrettanto studiato è il periodo caldo romano (o Optimum climatico romano) fu un periodo di clima caldo in Europa e nell'Atlantico settentrionale che andò dal 250 a.C.circa al 400 d.C.
Nel Medioevo si manifestò Periodo Caldo Medievale (circa fra il 900 e 1300), quando si verificarono temperature più miti.
Quando questo periodo lasciò il posto alla Piccola Era Glaciale (circa 1300-1850), in Europa si diffusero lamentele sul fatto che il clima fosse peggiorato.
Nel XIX secolo, durante la Piccola Era Glaciale, generò inverni più freddi in molte parti dell'Europa e del Nord America.
Nel XX secolo, già nei primi decenni del Novecento, giornali e almanacchi riportavano osservazioni su inverni meno rigidi o estati più calde rispetto ai ricordi popolari.
Da allora i cambiamenti climatici sono misurati scientificamente e si sa che la causa principale è l’attività umana, mentre in passato le variazioni erano spesso attribuite a cause naturali o divine.
Chi ha voglia di farlo può serenamente applicare questi cambiamenti al territorio dove vive e nel caso della Valle d’Aosta ail vero interesse attraverso i secoli passati è registrare come i mutamenti climatici periodici abbiano influenzato la presenza umana e l’organizzazione sociale.
Ricordo come Il popolamento della Valle d’Aosta iniziò in epoca preistorica, probabilmente nel Neolitico con una presenza stanziale e conseguente influenza del clima sugli spostamenti successivi in alto e in basso nelle vallate e per i collegamenti attraverso le montagne a seconda delle condizioni del terreno.
Quel che cambia rispetto al passato e alla percezione citata dei cambiamenti sono le attuali previsioni scientifiche, che calcolano con buona approssimazione l’aumento delle temperature in futuro e questo consente di riflettere sui cambiamenti climatici e sulle loro conseguenze.
Questo consente di adattarsi e bisogna farlo senza le terribili ansie che certa convegnistica sta creando con un continuo martellamento che non giova alla causa e all’arma la popolazione con ansie che vanno combattute. Altra storia è la consapevolezza dei decisori, perché quello va spinto perché si espandono in ruoli chiave negazionisti o indifferenti e questo preoccupa.
Resto comunque ancorato a positivi pensieri sulla primavera, tenendone stretta, per ragioni di straordinaria banalità. La più evidente è il progressivo aumento delle temperature, il risveglio della natura con la ripresa dei colori e il canto degli uccelli, dopo il silenzio invernale. Per ora tutto questo scricchiola come tempistiche, ma resta vivente.
Il termine primavera ha un’origine latina. Deriva dall’espressione “primo vere”, che significa “all’inizio della primavera” o “all’inizio della bella stagione” (ver in latino indicava proprio la primavera). Con il tempo, l’espressione si è trasformata in prima vera, poi in primavera.
Persino una persona difficile come Cesare Paese ha scritto una poesia giocosa (e non era certo usuale per lui!) sul mese di marzo è appunto intitolata “Marzo”.
Io sono Marzo che vengo col vento
col sole e l’acqua e nessuno contento;
vo’ pellegrino in digiuno e preghiera
cercando invano la Primavera.
Di grandi Santi m’adorno e mi glorio:
Tommaso il sette e poi il grande Gregorio;
con Benedetto la rondin tornata
saluta e canta la Santa Annunziata.
Primavera
Sarà un volto chiaro.
S’apriranno le strade
sui colli di pini
e di pietra…
I fiori spruzzati
di colore alle fontane
occhieggeranno come
donne divertite: Le scale
le terrazze le rondini
canteranno nel sole.