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04 set 2025

Il programma elettorale

di Luciano Caveri

Il programma, il programma. Questo è un mantra in occasione di qualunque elezione e di elezioni ormai ne ho fatte parecchie, molte volte occupandomi personalmente dell’impostazione e della scrittura di questi documenti, che oggi – sia per le regionali che per le comunali in Valle d’Aosta – vanno persino allegati in occasione della presentazione della lista dei candidati. Quindi, carta canta, anche se – la constatazione è oggettiva – si diffondono modalità digitali ben più sintetiche ed espressive. Per il cui il cartaceo soffre e pare destinato a sparire prima o poi, sperando che non si tratti della banalizzazione dei contenuti.

I programmi elettorali nella veste di documenti strutturati, che dettagliano le proposte e le idee di un partito, sono un'innovazione relativamente recente nella storia della politica. Si collegano all'emergere dei partiti politici di massa e all'espansione del suffragio universale.

Ho studiato la politica valdostana ottocentesca, sin dalle prime elezioni per censo dopo lo Statuto albertino del 1848, ed era uno scenario in gran parte dominata da élite e notabili, visto il ristretto numero di votanti. Le campagne elettorali si basavano sui comiziristretti, sui manifesti murali e sul carisma e la reputazione dei singoli candidati, molto spesso “paracadutati” dall’esterno. Non c'era un'esigenza sentita di presentare un piano organico e dettagliato all'elettorato, dato che le decisioni venivano prese prevalentemente da un numero ristretto di persone, che nel caso valdostano si esprimevano anche con contrapposizione feroci sui giornali letti da un numero limitatissimo di persone.

Pian piano i partiti, con l’allargarsi del diritto di voto a nuove fasce di popolazione, compresero la necessità di un programma scritto che stabilisse in modo chiaro i loro obiettivi e le loro rivendicazioni e al dare il la furono le formazioni che oggi definiremmo “di sinistra”. Anche se ormai la catalogazione Destra, Sinistra e Centro scricchiola sempre di più.

La logica del programma è l’identificazione verso la formazione politica di appartenenza, la mobilitazione dei propri elettori e anche indicazioni di linee direttrici per i candidati. Niente di nuovo, in sostanza, sotto il sole.

Si potrebbe dire che hanno cessato di essere passati documenti ideologici rigidi e si è andati verso testi più pragmatici, spesso al limitare della pubblicità commerciale con grande attenzione verso i leader, che in Italia da alcuni anni vanno e vengono, dimostrando l’infedeltà di parte dell’elettorato, anche sotto l’influenza dei media vecchi e nuovi. Fenomeni di usa e getta hanno turbato la partitocrazia italiana con trasformazioni nel tempo. Segnalo come l’unica formazione valdostana, con i suoi alti e bassi e con qualche diaspora periodica, rimasta invita dal 1945 ad oggi resta – con scorno dei suoi tanti avversari – l’Union Valdôtaine. Ho qui di fronte a me la ventina di pagine del “Patto per la Valle d’Aosta” proposto dal mio Mouvement ai valdostani, mi pare una progettualità seria, di chi conosce la Valle ed è il prodotto di conoscenze e di intelligenze che ben conoscono la realtà locale cadere nel provincialismo.

Come sempre, anche questa volta, l’Union viene accusata di voler monopolizzare l’Autonomia e di assumersene una specie di unicità. A me pare che non sia così, ma il tasso di autonomismo, lo si comprende dalla storia delle singole forze politiche nel tempo e dai comportamenti reali ad Aosta come a Roma.

Ovvio che la logica del “siamo tutti autonomisti” diventi necessaria per chiunque partecipi alle elezioni regionali. Sarebbe difficile, anche per il meno accorto o il più distratto, dire ai valdostani di non credere all’Autonomia speciale. Sarebbe un inusuale harakiri o, se preferite qualcosa di meno sanguinoso, un clamoroso autogol.

Siamo, tuttavia, ormai giunti all’iperbole, in verità grottesca, di partiti nazionali che spiegano di essere più autonomisti dell’Union nel tentativo che somiglia a chi vuole vendere il ghiaccio a chi vive in Groenlandia o la sabbia ai tuareg del deserto del Sahara.

Vien da ridere, naturalmente, ma – di fronte ad una competizione elettorale – bisogna smontare anche le bufale, pur comprendendo che siano nate dalla suggestione elettorale che travisa la realtà.