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22 ott 2025

La “nuova” vecchiaia

di Luciano Caveri

Pensavo in questi giorni come la mia vita sia sempre stata caratterizzata da cambiamenti.

Per cui oggi che mi trovo di fronte a nuove prospettive che sto indagando, mi chiedo come affrontarle.

Intanto mi consolo, pensando a come sia cambiata nel tempo – tanto che la parola la si usa con circospezione – la nozione di “vecchiaia”.

Un tempo la vecchiaia era vista principalmente come un periodo di declino fisico e mentale, spesso associato all’inutilità sociale. Oggi, grazie ai progressi nella medicina, ne nello stile di vita, molte persone anziane sono attive, autonome e produttive anche dopo i 70 o 80 anni.

Per questo conta la positiva aspettativa di vita, che – facendo i personali scongiuri - è aumentata notevolmente. E conta anche la force de frappe degli anziani, essendo che le società umane stanno invecchiando con più anziani e meno giovani.

Ne consegue una ridefinizione dei ruoli sociali degli anziani, che spesso continuano a lavorare, a viaggiare, a studiare e a partecipare alla vita pubblica.  

Lo si vede dai media e dalla pubblicità che iniziano a rappresentare gli anziani in modo più positivo e realistico, parlando tra l’altro più di età biologica che di età anagrafica. Esistono queste definizioni che mi mettono qualche brivido di “invecchiamento attivo” e di “silver economy”, cioè l’economia legata ai consumi e ai bisogni delle persone anziane, che in genere hanno una buona capacità di spesa e questo alletta i mercati.

Personalmente mi inquieta sempre la parola “pensionato”, che deriva dal termine “pensione”, che a sua volta ha radici nel latino pensio, cioè “pagamento”, “quota da pagare”, legato al verbo pendere (“pagare”, “pesare”).

L’affermazione del sistema pensionistico avvenne nel dopoguerra e si è stabilizzata pian piano nei decenni successivi. Negli anni Novanta, per una serie di ragioni, il sistema pensionistico entra in crisi per via dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento della spesa pubblica e di conseguenza sino state varare riforme che hanno allungato l’età pensionabile e lo sarà ancora negli anni prossimi con la preoccupazione di un calo demografico che renderà sempre più difficile la tenuta del sistema.

“Pensionato” è una parola triste, anche se è allegro pensare che ci si è arrivati vivi. So bene di come questo status sia agognato, specie con le giravolte delle regole, che come la risacca nei pressi della riva spesso allontanano al largo chi l’aspettava da tempo. Il famoso concetto di “diritti acquisiti” in Italia diventa ondivago e spezza certezze e attese.

La nozione di pensionato, per fortuna di chi come me ha questo status, sta cambiando nel tempo. Traggo dalla Treccani una delle più proverbiali prese in giro: “Come viene definito l’anziano che osserva gli operai al lavoro nei cantieri, con l’aria di quello che la sa lunga? Oggi la maggior parte della gente ha la risposta pronta: umarèll (con due L finali), come se si chiamasse così da sempre. In realtà la parola ha visto la luce appena 17 anni fa. Ed è emblematica della capacità del Web di moltiplicare esponenzialmente l’uso di certe espressioni nel nostro lessico. Infatti quel termine è stato inventato di sana pianta nel 2005 per essere usato in un blog, poi è diventato il titolo e il tema di un primo libro (seguito da altri). La nascita è dovuta alla mutazione premeditata di una parola dialettale bolognese, usata originariamente in modo dispregiativo: umarèl (con una sola L), indicante un ometto dall’aria dimessa e anonima che vaga per la città; espressione a sua volta nata nel Novecento, considerando che è assente nei vari dedicati al dialetto bolognese, dove semmai compaiono, con lo stesso significato diminutivo, termini come umêtt, umarêtt, umein, umarein e uminein. Comunque umarèll si è poi trasformato – cambiando in buona parte la connotazione linguistica e semantica – in un “bolognesismo” usato quasi ovunque, a livello nazionale e talvolta anche all’estero”.

Vorrei dire che la fotografia umoristica del pensionato di fronte al cantiere è davvero una caricatura, almeno per noi baby boomers (1945-1964), la cui coda dei più “giovani” si avvia ormai alla pensione.

Troppo spesso c’è chi considera i pensionati un peso e la loro esperienza un vuoto a perdere.

Combatto con convinzione una battaglia contro certi luoghi comuni e non defletto.