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13 dic 2025

Il futuro cupo per i giornali

di Luciano Caveri

Quando si guarda ad un fenomeno, si può cominciare dall’inizio o dalla fine.

Quindi non appaia un paradosso se inizio con le edicole in crisi, che spariscono piano piano nel panorama urbano e nei centri più piccoli. In certi luoghi, anche il più intenzionato a comprare il quotidiano, neppure lo trova.

Per cui resta inteso che il costante calo delle vendite dei giornali cartacei contribuisce in modo decisivo alla crisi delle rivendite, con molte fra loro che sono state costrette a chiudere e i tentativi di diversificazione delle attività sono falliti.

Il declino della carta stampata è nella sostanza il sintomo di una crisi strutturale dell'editoria, perché l'informazione tradizionale non riesce a competere con le nuove modalità di fruizione online. Cui si aggiunge la qual certa catatonia di chi non si informa neppure. In più lo scritto soffre di certo nuovo analfabetismo che più che di ritorno è direttamente di andata e c’è chi preferisce filmatini basici alla lettura considerata come troppo impegnativa.

Tutto ciò testimonia un cambio radicale nei consumi informativi, che già avvenne solo in parte con l’avvento di Radio e Televisione, mentre questa volta l’impatto risulta disastroso e irreversibile.

Lo dimostrano i dati del calo delle vendite dei giornali cartacei in Italia, che è forte e ininterrotto, con flessioni persino a doppia cifra per molte testate nell'ultimo anno e un'incapacità del digitale di compensare completamente queste perdite.

Seguo, in questo scenario, il triste declino del giornale di riferimento della mia famiglia, La Stampa di Torino, che somma questa questione di fondo - e cioè che in tanti il giornale non lo leggono più! - a scelte editoriali disastrose in questi anni, che hanno eroso la base più tradizionale nelle zone storiche di presenza del quotidiano con spostamento dei lettori più conservatori verso altri giornali.

A questo si aggiungano gli eredi Agnelli, che sono fantastici nel liquidare tutto, compresi i giornali storici e acquistati nel tempo. Trovo il loro cinismo del tutto esemplare.

Proseguirei con la testimonianza personale da lettore accanito nel tempo e ancora oggi, che finisce per avere due versanti di riflessione, uno più puntuale sul tema e l’altro più vasto. Il puntuale è che amo sfogliare i giornali cartacei, perché ci sono cresciuto per abitudine familiare. Quando ho avuto i primi soldi miei, facevo razzia nelle edicole delle pubblicazioni le più strane.

Eppure, da tempo, leggo quasi tutto con abbonamenti digitali e solo in vacanza riprendo del tutto l’abitudine precedente. Penso che sul digitale ci siano spazi per mantenere informazione di qualità, che si agganci a giornali cartacei per avere contenuti di approfondimento.

Aggiungerei solo le rassegne stampa varie che all’alba - anche con i preziosi e rampanti podcast - decorticano i giornali, svuotando la logica dell’acquisto.

Secondo aspetto. I giornali li fanno i giornalisti e mi vien da aggiungere che ciò avviene fino ad ora, perché l’Intelligenza Artificiale per la professione è - scusate l’iperbole - un bel merdone.

La professione sta cambiando non solo nella logica della multimedialità che obbliga ad essere multitasking, ma pesa la progressiva proletarizzazione della professione. La crisi complessiva dei giornali obbliga a ristrettezze e questo cala infine su stipendi e vantaggi vari.

In più (apro parentesi) la parte radiotv della professione è angustiata da spazi che i giornalisti hanno consentito che si aprissero a cani e porci, che hanno eroso lo spazio che era del giornalista.

Annoto, da giornalista RAI, un fenomeno nel fenomeno. Giornalisti della carta stampata di giornali che vendono copie risibili, come il Fatto Quotidiano, che spuntano in Televisione come grandi esperti o conduttori, rubando il posto a chi nella RAI ci lavora con competenze specifiche. Questo crea costi per l’azienda che paiono spesso aiutini per chi sul mercato editoriale non riuscirebbe più a starci.

Scusate lo sfogo.

Torno al punto. Sul futuro dei giornali resta perciò una evidente indeterminatezza, i cui esiti passano dalle logiche di mercato, domanda e offerta e gusti dei consumatori. Resta la necessità di avere le informazioni, fornite in una logica di libertà, di qualità e di pluralismo.

Un puzzle complesso nei momenti di transizione, in più con principi democratici che di questi tempi scricchiolano.