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21 dic 2025

Il Natale e la Pace

di Luciano Caveri

L’invocazione della Pace - che a farla siano Papi, governanti vari o piazze manifestanti - suona spesso come uno slogan ammirevole ma sfibrato, che sale al cielo dei credenti e dei laici con qualche decibel in più in occasione del Natale.

Lo dico con infinito dolore e la sfiducia di chi, invecchiando, sembra perdere per strada tante speranza coltivate sul buonsenso dell’Umanità e sulla capacità di riscatto contro le violenze, i dolori, le ingiustizie, che sono il triste condimento delle guerre e delle tante forme di conflitto e di lotta che ci ammorbano nel piccolo e nel grande.

Intendiamoci: ogni appello alla Pace è un valore e sarebbe stupido lamentarsene per partito preso. Ma anche le monete preziose si svalutano se l’impressione è che non siano spendibili.

In più la retorica mielosa mi è ormai del tutto indigeribile. Ne ho vista tanta nella mia vita e peggio ancora risulta il pacifismo senza sbocchi.

Certo il dato di partenza spaventa.

Ovvio che numero esatto di "guerre" (le virgolette servono a mostrare la varietà degli scontri), che sono in corso, dipenda dalla definizione utilizzata. Organizzazioni come l'Uppsala Conflict Data Program (UCDP) classificano come guerra un conflitto armato statale che causa almeno 1.000 morti violente dirette in un anno solare. Secondo i dati più recenti (aggiornati al 2025), ci sono 56 guerre in corso a livello globale che soddisfano questo criterio. Un aumento significativo rispetto agli anni precedenti, con l'Africa e il Medio Oriente come regioni più colpite.

Se consideriamo una definizione più ampia di conflitti armati attivi (inclusi quelli con meno di 1.000 morti annue, come ribellioni, violenze etniche o guerre civili minori), il numero sale a circa 110-120, secondo stime di fonti come l'Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) e il Council on Foreign Relations (CFR). L'ACLED ha registrato oltre 204.000 eventi di violenza politica tra dicembre 2024 e novembre 2025, con più di 240.000 morti stimate, coinvolgendo decine di Paesi.

Tuttavia, non bisogna fare di ogni erba un fascio.

Bisogna sempre diffidare di certo pacifismo cieco e lo si vede dai troppi silenzi sull’Ucraina (idem per l’Iran), che sembra non meritare mobilitazioni di piazza senza sapere distinguere fra aggressori russi da aggrediti ucraini.

Pensando alla Resistenza in Italia, è assurda la posizione di chi si rifiuta di sostenere qualsiasi forma di resistenza armata, anche in difesa di popolazioni vittime di atrocità (genocidio, pulizia etnica, invasione) In questi casi, la richiesta di "cessate il fuoco" o di "disarmo" rivolta indiscriminatamente a entrambe le parti finisce per favorire di fatto l'aggressore, consentendogli di consolidare le proprie conquiste o continuare l'oppressione senza incontrare resistenza. Leggi Russia!

Il pacifismo di maniera tende a concentrarsi sulla condanna della guerra in sé, senza offrire strategie politiche, economiche o diplomatiche efficaci per risolvere il conflitto o garantire la sicurezza a lungo termine. Si limita a curare i sintomi (la guerra) senza sradicare la malattia, specie in un mondo in cui la democrazia - e questo per me è il punto cruciale - sta declinando e sono tanti i Paesi che stanno scivolando verso forme di autocrazia e dittatura, intrinsecamente aggressive e dunque portatrici dei virus della guerra.

Altro caso: il no di certo pacifismo europeo all’aumento della capacità di difesa in un contesto geopolitico ostile) una scelta autolesionista e rende i Paesi democratici facili prede di attori più spregiudicati e Putin giganteggia.

La lezione della Seconda Guerra Mondiale dovrebbe servire.

Ricordo come il pacifismo diffuso (si leggano a proposito strali di George Orwell) e, in particolare, la politica di appeasement (pacificazione) perseguita da Gran Bretagna e Francia tra il 1937 e il 1939, furono fattori cruciali che rallentarono e indebolirono la reazione delle potenze occidentali nei confronti delle aggressioni di Adolf Hitler, contribuendo così allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

Insomma: il pacifismo, come visione di un mondo migliore, non può essere la retorica del pacifismo di maniera, come forma di esibizione morale vuota, perché - nel suo rifiuto di affrontare la realtà del conflitto e del male - finisce per tradursi non in un passo verso la pace, ma in un sostegno involontario all'ingiustizia e all'aggressione.

Temi complessi, ma ”volere la pace", nel comprensibile buonismo natalizio, deve fare i conti con una realtà purtroppo ben più difficile del «Peace and Love».

Situazione - e per me è così - che può non piacerci affatto, visto che, in barba a tante speranze, negli ultimi cinque anni il numero dei conflitti attivi del mondo è raddoppiato e la diplomazia internazionale stenta