blog di luciano

Quale federalismo?

Uno dei manifesti della Festa nazionale del PD di Torino"I 150 anni dell'unità d'Italia devono consentirci un'analisi seria delle ragioni del fallimento dello Stato unitario e costringerci ad una "rivoluzione federalista", in chiave europea, con un principio di sussidiarietà vero che valorizzi davvero i diversi livelli di governo e gli spazi di libertà delle persone e delle comunità. L'eguaglianza è trattare diversamente le situazioni diverse".
Direi che più o meno sono state queste le mie conclusioni (scusate il vezzo dell’autocitazione, ma d'altra parte qui registro miei pensieri) alla "Festa nazionale" del PD, quest'anno a Torino, nel cuore della città, partecipando - nella mia veste di Capo della delegazione italiana al Comitato delle Regioni - al dibattito "Regioni d'Europa. Quale federalismo?" con la Presidente del Comitato Mercedes Bresso ed autorevoli esponenti politici, come il Presidente Claudio Martini, il Ministro catalano Ernest Maragall e il capogruppo del PSE al CdR il tedesco Karl Heinz Klar.
E' stato interessante per me l'esercizio acrobatico di fare, come mi era stato chiesto, a beneficio anche degli ospiti europei, un riassunto di pochi minuti sul dibattito federalista in Italia.
Qui me evoco il contenuto in poche righe: del federalismo come chiave dell'unità italiana si parla alla fine del Settecento durante le Repubbliche napoleoniche (protagonista anche il valdostano Guillaume Cerise), poi arriva l'unità italiana senza federalismo e durante il corso di tutta l'Italia liberale si discute di rendere meno rude il centralismo con forme di regionalismo che non arrivano e i federalisti che predicano fra le due guerre mondiali vengono snobbati. Il fascismo ci mette una pietra sopra, mentre alla Costituente i federalisti perdono a favore dei regionalisti tiepidi. Una fiammella di federalismo resta nelle autonomie speciali, mentre il regionalismo ordinario arriva solo nel 1970. Quando nel 1992 presento la "Costituzione per un'Italia federale" vengo considerato un marziano. Poi la spinta leghista, una presa di coscienza sul tema anche della sinistra, la comparazione con il dibattito sul federalismo in Europa porta ad una riforma del regionalismo nel 2000 con legge costituzionale (io votai contro per la mancanza del principio pattizio dell'intesa sul nostro Statuto d'autonomia). Poi, tranne la riforma costituzionale della destra bocciata al referendum, tutto tace sino al federalismo fiscale, che - come ho spiegato ieri - è come mettere l'etichetta "Barolo" su di un vino di scarsa qualità.
Il federalismo è altra cosa.

Delle volte non capisco

Renzo Arbore al Forte di BardNon capisco come sia che la squadra di calcio della Roma rischi il fallimento e poi - con un prestito dell'Unicredit - faccia una campagna acquisti dispendiosa.
Non capisco come sia che il Presidente del Consiglio chieda di attenuare le polemiche nei confronti di Gianfranco Fini ed i giornali e telegiornali di famiglia facciano il contrario.
Non capisco come le azioni "Fiat" volino in Borsa ed in contemporanea crollino le vendite delle auto del marchio torinese.
Non capisco come sia possibile che l'Italia (e la Valle d'Aosta assieme) non abbia più medici, ma intanto i test di accesso a questa Facoltà siano sempre più difficili.
Non capisco come la crisi industriale sia il primo problema dell'Italia e il Ministero che dovrebbe occuparsene non ha da mesi un Ministro e le deleghe si stanno lentamente spartendo all'interno del Governo.
Non capisco le grandi inchieste che dimostrano che la criminalità organizzata ha messo le mani sulle macchinette mangiasoldi nei bar in larga parte d'Italia ma nessuno pensa di far uscire questo settore dello Stato biscazziere.
Non capisco i giudici amministrativi che bloccano i pedaggi nelle tangenziali di grandi città, mentre i valdostani subiscono ogni aumento della "loro" autostrada.
Non capisco come mai Gianni Letta, in diverse manifestazioni pubbliche, vada con naturalezza a prendersi fischi e urla indirizzati a Berlusconi.
Non capisco perché Valter Veltroni, che aveva annunciato che non si sarebbe più occupato di politica («andrò in Africa a fare volontariato»), rilanci la sua candidatura per guidare il centrosinistra.

«Non capisco ma mi adeguo». Renzo Arbore
L'elenco può essere infinito...

Nero

Il classico gatto neroAmo i dizionari, perché tra l'altro sono utili per capire, nella straordinaria espressività delle lingue, come la stessa parola - anche quando potrebbe essere solo un colore - diventi invece straordinariamente cangiante.
Per dire: se siete d'umore nero e vedete tutto nero, ci sono diverse proposte.
Potreste viaggiare nel nero dello spazio, verso un buco nero, oppure partire per il Continente nero, dove magari potreste scoprire un giacimento d'oro nero, che non è la stessa cosa di un pozzo nero.
Oppure, al mercato nero, potreste comprare una forma di pan nër, una confezione di olive nere, una tavoletta di chocolat noir, sorseggiando caffè nero o un thè nero, evitando di annusare - per non starnutire - il pepe nero.
Sennò - se siete nel buio di una nuit noire - perché non farsi un bel sogno? Attenzione agli incubi con l'uomo nero o ad incappare nella vostra bestia nera o nel manganello delle camicie nere.
Semmai, se stentate a dormire - potreste leggervi un bel noir oppure contare le pecore nere (meglio evitare i gatti neri!).
Sin qui, ovviamente, il tono è scherzoso, ma vorrei lasciarvi con le riflessioni derivanti da una frase dello scrittore Bruno Dechamps:
"Les photographes écrivent avec la lumière, puisque c'est cela que signifie le mot photographie. Les écrivains ont pour matière première le parfait contraire de la lumière, le noir de l'encre. Il faut qu'ils s'en arrangent. C'est avec un jus de ténèbres qu'ils font jaillir des rêves, des paysages lointains saturés de blancheur, des banquises étincelantes, des visages à vous mettre à genoux pour prier qu'ils ne s'enfuient pas ailleurs séduire d’autres regards".

Contro la normalizzazione

Il gonfalone della Valle d'AostaNella caotica situazione politica e istituzionale italiana, credo sia ora, adesso come sempre, di capire dove vogliamo andare come valdostani.
Mio zio Séverin Caveri temeva che l'autonomia speciale - i cui limiti gli erano ben noti sin da subito - operasse come "endroumia", cioè una sorta di addormentamento delle coscienze.
Oggi lasciarsi vivere sarebbe una scelta stupida: tutto in Italia è in movimento per andare chissà dove, il centralismo politico-amministrativo sta tornando prepotentemente, lo pseudofederalismo sembra operare come una diminuzione programmata delle nostre risorse finanziarie come escamotage per ridurre funzioni e competenze, che mira a ridicolizzare l'autogoverno.
Esempio lampante di questa scelta è l'ultima invasiva Finanziaria umiliante per le Regioni e ancor di più per le autonomie speciali e la prossima puntata sarà la batosta del federalismo fiscale e incombono scelte europee, come il nuovo patto di stabilità e il futuro dei fondi strutturali, in un momento in cui il peso dell'Italia in Europa è bassissimo e anzi certi ridimensionamenti della democrazia locale sono funzionali al ritorno del centralismo a Bruxelles come a Roma.
Nella filosofia "tutti autonomisti" (che sembra rendere uguali tutti i partiti, con evidenti forme di travestitismo o di frode in politica), il messaggio federalista valdostano e le speranze di maggiori spazi di libertà si annacquano e la normalizzazione incombe «e il naufragar m'è dolce in questo mare».
E' ora di ripartire dal patrimonio di idee e pensieri del "nostro" federalismo non inteso come una nostalgica logica rievocativa o come una fissità museale, ma come sveglia contro il soporifero e ipnotico tran tran che cela proprio l'inquietante normalizzazione.

Bisogna essere ospitali

Gheddafi a Roma nell'agosto 2010L'idea di assecondare nei loro desideri più profondi i dittatori in visita in Italia, dopo gli spettacoli di Gheddafi, permetterà un'ampia gamma di accoglienza.
Dispiaciuti per la morte di Hitler, Stalin e Pol Pot, mai ripresisi dalla scomparsa di Ceauseascu, Kim Il Sung e Pinochet, i nostri governanti sono indirizzati verso nuove ospitalità.
Attesissimo Bokassa II che predisporrà nel giardino della sua ambasciata un pentolone nel quale cuocere, a vantaggio degli invitati alla cena, alcuni avversari politici portati in aereo dal suo Paese.
Molto apprezzato lo sceicco Barabur che ha avviato una ricerca di giovani vergini per il suo harem e di giovani italiani disponibili a farsi eunuchi.
Per il dittatore di Saturno, Armanak, accoglienza in gran pompa con l'autorizzazione di ormeggiare la sua astronave al centro del Colosseo, consentendo uno spettacolo circense con le cavallette verdi e ferocissime del pianeta.
Il business è il business, ed ogni stranezza va digerita!
Risate per la battutona nel giardino dell'ambasciata libica: «chi ha orecchie per intendere in...tenda, tutti gli altri in roulotte». Calembour, purtroppo per gli interpreti terrorizzati, di difficile traduzione in arabo.

Risanamento del bestiame

Una mucca autoctonaQuando di un certo tema d'attualità si occupa la Magistratura, è necessario scrivere con cautela, ma non vorrei neppure far finta che la notizia non esista. Mi riferisco all'inchiesta sul risanamento del bestiame che sta per sfociare nella fase processuale.
Credo di essere fra i pochi, per caso, che ha sempre seguito lo sviluppo delle due grandi malattie del bestiame (tubercolosi e brucellosi) nella nostra Valle, dove il patrimonio bovino ha un'importanza capitale per il settore agricolo.
Il caso sta nel fatto che quello del "risanamento" è stato uno dei lavori principali che ha occupato mio papà veterinario dagli anni Cinquanta sino al suo pensionamento. Se penso a Sandro, mio padre, lo ricordo immerso nei suoi registri, Comune per Comune, dove appuntava - con la sua scrittura tutta a punte - stalla per stalla e animale per animale i progressi, spesso altalenanti, delle campagne contro queste zoonosi (cioè malattie trasmissibili all'uomo). C'erano allora due elementi di angoscia: il primo derivava dalla stranezza dell'andamento delle malattie che mettevano a dura prova le sue conoscenze scientifiche; il secondo stava nel fatto che c'era un minoranza di "furbi" che sfruttavano, con opportuni trucchetti che influivano sui test, i vantaggi economici del "risanamento".
Quando ho avuto responsabilità di Governo, ho sempre condiviso la linea - e lo scrivo senza entrare in problemi troppo tecnici, come l'uso discusso del gamma interferone - della massima severità con critiche feroci di alcuni allevatori, che sembravano non capire che l'obiettivo di essere zona indenne da certe malattie non era un capriccio ma una necessità. Bisogna cioè evitare i rischi per la commercializzazione di un formaggio, come la "Fontina dop", per la cui produzione vi è solo un riscaldamento del latte e non una pastorizzazione e dunque avere "allevamenti indenni" o percentuali regionali al di sotto di una certa "soglia comunitaria" è appunto una necessità.

La necessaria armonia

Partecipanti alla 'Mangialonga'Tutta l'estate valdostana è stata percorsa da una polemica tutt'altro che nuova concernente il rapporto fra le sagre organizzate dalle "Pro Loco" e il sistema dei ristoranti locali. L'accusa lanciata da questi ultimi è quella di una concorrenza sleale e ora la polemica è destinata a rinfocolarsi con la decisione della Regione di finanziare una parte delle sagre per renderle "ecocompatibili".
Oggi sono stato con amici nelle Langhe per la "Mangialonga" di La Morra, che permette una lunga passeggiata, con tappe dall'aperitivo al dolce, che consente di godere del panorama collinare e delle straordinarie vigne e di gustare - e soprattutto di bere - i prodotti del territorio.
I numerosissimi stranieri, da tempo legati a questa zona del Piemonte, sono la cartina di tornasole del successo del turismo enogastronomico e culturale, che la Valle giustamente valorizza con tante iniziative locali e con il marchio dei "Saveurs du Val d'Aoste", che è stato studiato e applicato con serietà e chi scrive il contrario non sa cosa dice.
Ecco perché, essendoci spazio per tutti ed essendo necessaria l'armonia per dare il meglio, sarebbe bene mettersi attorno ad un tavolo e trovare accordi utili per soddisfare tutti, dando un'occhiata a cosa di buono viene fatto in altri territori, pur sapendo che ogni modello deve da noi fare i conti con le nostre esigenze e originalità.

Il segreto del critico enogastronomico

Edoardo Raspelli in cucinaSono un grande ammiratore di Edoardo Raspelli, che seguo da anni su "La Stampa" e di tanto in tanto in televisione. La sua verve di critico enogastronomico - e anche di recensore di alberghi - mi pareva piantata su radici solide.
Questa sera, nel corso di un "laboratorio del gusto" della "Maison Bertolin" alla "Festa del lardo" di Arnad, ho avuto modo di conoscerlo e di capire da dove deriva quel taglio rapido ed efficace dei suoi articoli.
Raspelli è stato un giovanissimo cronista nei giornali di provincia e poi si è trovato, altrettanto giovane, a lavorare a Milano come cronista di nera negli anni Settanta, seguendo le tragiche vicende del terrorismo.
In parallelo ha cominciato a scrivere di ristoranti, portando quello stile di cronista che ha fatto la sua fortuna e che rende un piacere la lettura dei suoi commenti.
Ormai - mi raccontava - testa circa 150 ristoranti l'anno e lo fa mangiando davvero. Per questo ha dovuto operarsi allo stomaco per contrastare gli eccessi di peso come... rischio professionale.
Conosce bene la Valle, i suo prodotti e buona parte della nostra cucina e dei ristoranti che ha recensito con arguzia per gli articoli e per la sua guida.
Scriverà dei fratelli Vai che ha visitato nel loro locale di Saint-Marcel, ritrovando uno chef, Paolo Vai, di cui ha seguito gli spostamenti fin dai tempi dello straordinario "Cavallo Bianco".
Ricordo ancora quando festeggiai lì la mia assunzione in "Rai" nel 1980 e i miei amici carogne ordinarono vini mirabolanti e - Franco Vai me lo ricordava ancora di recente - quando mi presentarono il conto da capogiro io sbiancai e rimasi senza fiato ma con grande aplomb compilai un assegno.

La mia PEC vuota

Il ministro Renato Brunetta alla presentazione della 'Pec'Come tutti gli iscritti ad un Ordine professionale, mi è stato imposto di avere una "Pec - Posta elettronica certificata". Un'iniziativa fra le tante del sulfureo Ministro Renato Brunetta che mirava a rendere certo e sicuro un canale di posta elettronica con la Pubblica amministrazione. Questa "Pec", stremato dai solleciti e ligio ai miei doveri come un soldatino, alla fine l'ho fatta, pur sfuggendomi la sanzione che avrebbe potuto colpirmi.
Così oggi, accanto ai tre indirizzi di posta elettronica che uso normalmente, ce n'è un quarto che - questo è il bello, dopo tanti affanni - è vuoto, sempre vuoto, nella sua totale inutilità.
Nessuno mi scrive, neppure uno spam da "superviagra" o da vedova africana che vuole condividere con me un miliardo di euro.
Neppure un «ciao, come stai?» di Brunetta, che mi ripagasse dell'impegno...

Una politica europea per i rom

Alcune ragazze romDire "rom" (definizione giusta rispetto a "zingari") vuol dire tutto e niente: ci si riferisce infatti ad un popolo che ha al proprio interno situazioni diversissime fra mantenimento della logica nomade e invece una forte scelta stanziale e condizioni di vita ulteriormente differenti nei singoli Stati europei.
L'Italia, come dimostrato dal rogo delle scorse ore in un campo nomadi a Roma, oscilla fra situazione agghiaccianti e rari esempi di efficienza.
Certo, il problema è europeo e non a caso se n'è occupato il Parlamento europeo ed il Consiglio d'Europa (dove, lo dico per inciso, sono stato di recente rinominato) segue da anni quella che può essere considerata la più grande minoranza etnica nel Vecchio Continente, che in Valle d'Aosta ha avuto per altro presenze sporadiche, spesso legate ad accampamenti nell'ambito di spostamenti di lungo raggio.
La Francia, su indicazione del Presidente Nicolas Sarkozy, specie dopo i fatti di Grenoble, ha deciso lo spostamento in massa di centinaia di "rom" irregolari con la complicazione che le misure, che sono su base volontaria, riguardano un Paese comunitario qual è la Romania, i cui cittadini sono dunque a pieno titolo cittadini europei e quindi maggiormente liberi nella mobilità all'interno delle frontiere comunitarie.
Il discusso "pugno di ferro" francese, che segue - tanto per dirci la verità - un comune sentire di larga parte della popolazione, obbligherà la Commissione europea a decisioni serie rispetto ad un certo balbettamento sul tema.
Personalmente credo che sia necessaria una chiarezza di partenza: chi è in regola e si comporta correttamente, nel rispetto naturalmente dei propri usi e costumi senza fare del relativismo culturale un idolo intoccabile che consenta di fare delle cose contra legem, ha gli stessi identici diritti di un qualunque altro cittadino, ma chi sgarra non può giocare poi a fare il perseguitato politico.

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