Trattare certi argomenti è scomodo, andando oggi di moda la politica cerchiobottista per non spiacere a nessuno. Ho ascoltato oratori di peso dire a distanza di poche ore tutto e il contrario di tutto e soprattutto fare il contrario di quanto promesso. L'ambiguità non vorrei che fosse, alla fine, considerata un pregio. Eppure dell'aborto, tema di coscienza complesso e mai banalizzabile, non si può non parlare. In premessa,non capisco una cosa. Una buona parte della Chiesa combatte da anni su due fronti, che sono fra loro contraddittori e ciò è dimostrato dalle recenti polemiche sulla pillola abortiva nota come Ru486, che hanno raggiunto una virulenza notevole. Mi riferisco, anzitutto, alla battaglia contro la legalizzazione dell'aborto, che ebbe il suo apice negli anni Ottanta.
Fino al 1975 l’aborto era in Italia ancora una pratica illegale, un reato. Ciò non significava, ovviamente, che di aborti non ne avvenissero: esistevano infatti gli aborti clandestini, che fossero rischiosi con le pozioni velenose delle "mammane", oppure in cliniche compiacenti o attraverso viaggi all'estero. Nel 1975 una sentenza della Corte Costituzionale stabilì infine la "differenza" tra un embrione e un essere umano e sancì la prevalenza della salute della madre rispetto alla vita del nascituro. Il 22 maggio 1978 venne, di conseguenza, approvata la legge 194, ancora in vigore, con la quale si riconosceva il diritto della donna ad interrompere, gratuitamente e nelle strutture pubbliche, la gravidanza indesiderata, consentendo ai medici quell'obiezione di coscienza oggi diffusissima. Nella legge si prevedevano poi politiche di prevenzione da attuarsi presso i consultori familiari. Una parte largamente disattesa, come dimostrano la mancanza d'informazione e i costi folli dei preservati e della pillola. Contro questa legge avvennero, in un clima incandescente, tre raccolte di firme in favore di altrettanti referendum: una da parte dei Radicali (che ne chiedevano una modifica in senso più ampio), e due da parte del "Movimento per la Vita" (una per un'abrogazione "minimale", una per l'abrogazione totale). Quest’ultimo verrà dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale. Il 17 e 18 maggio 1981 si votò: la proposta cattolica venne bocciata a schiacciante maggioranza (68 per cento), così come quella radicale (88 per cento) e dunque il popolo italiano sancì una posizione equilibrata in linea con la maggior parte dei Paesi occidentali. Ciò non ha impedito alla Chiesa - ed è legittimo che lo faccia - ribadire che l'embrione è già vita e dunque un cattolico deve restare contrario all'aborto. La contraddizione - a questo mi riferivo nel segnalare lo stridio fra due no - emerge dal "no" della Chiesa, sempre a tutela della vita, alle più diffuse pratiche di controllo delle nascite, come pillola, preservativo, spirale. Se così fosse, ma questo indirizzo è ampliamente disatteso dai cattolici, l'aborto rischierebbe di diventare - e i numeri dimostrano il contrario - un metodo di controllo delle nascite e ciò sarebbe davvero impensabile e barbarico. Personalmente ritengo che l'aborto sia per qualunque donna una scelta terribile e dolorosa e mai ho creduto in quella specie di caricatura di una donna che abortisca con facilità o superficialità, trattandosi - immagino - di un'esperienza che non si cancella. Oggi, la pillola abortiva, evita in molti casi l'aborto attraverso quella che è stata sinora una vera e propria operazione con la sua invasività e i suoi rischi. La Chiesa, coerentemente, riafferma il sui no, annunciando misure drastiche, sino alla scomunica, per chi adopererà la pillola abortiva. Lo Stato, invece, difende le previsioni di evoluzione tecnica previste dalla già citata legge 194. La scelta se usare o no la pillola resta in mano alla donna, che dev'essere, nell'assunzione del farmaco, assistita in Ospedale sotto controllo medico. Chi riterrà di seguire gli insegnamenti della Chiesa in questa materia, compresi i medici obiettori, lo potrà fare senza imposizioni di sorta. Chi non vorrà farlo, per propria libera scelta, potrà definire una strada diversa, come deve avvenire in una moderna democrazia, che contemperi egualmente libertà religiosa e diritti civili. Gli opposti estremismi alimentano sul punto un'insopportabile polemica, risolta in realtà trent'anni fa dal già citato referendum popolare.