Leggevo giorni fa di come stiano saltando, nelle cronache giornalistiche che sono specchio del lessico applicato alla quotidianità, le definizioni tradizionali delle fasce di età. Un "ragazzo" rischia di rimanere tale sino ai trent'anni e, specularmente, si è certamente modificata la definizione di "vecchio", un tempo spietatamente applicata ai cinquantenni. Ma quel che colpisce è proprio, con l'allungamento della possibilità di vita, la distinzione - spesso cinicamente riassunta dalla possibilità o meno di essere autosufficienti - nell'ambito degli anziani, sempre più vecchi. Credo che oggi, immaginando di segmentare la "terza età", la senilità inizia oltre i sessant'anni, mentre oltre gli ottanta parte la longevità. La decadenza psicofisica fissa il passaggio alla "quarta età".
Insomma, se ci si arriva, bisogna sperare di mantenere lucidità e di essere fortunati nella tenuta fisica. Per altro i migliori clienti dei medici e delle case farmaceutiche sono gli anziani, consumatori pregiati in senso generale fra tempo libero a disposizione e buona capacità di spesa. Un problema serio legato all'invecchiamento sarà la guida dell'auto. L'ho vissuto con mio padre: quando superò gli ottant'anni, incominciò ad avere un crescendo di piccoli incidenti, che erano inconsueti per un bravo guidatore come lui. Il campanello dall'allarme venne colto dalla commissione medica che gli tolse provvidenzialmente la patente prima che si facesse del male da solo o lo facesse ad altri. Sarebbe interessante che il legislatore riflettesse su questa novità dei guidatori molto anziani con modifiche al Codice della strada. Si potrebbero ad esempio consentire solo determinate cilindrate oppure potrebbe risultare interessante avvertire di determinati rischi gli altri utenti, come avviene oggi con la "P" di patentando. Si tratta di contemperare la sicurezza stradale con la necessità di garantire mobilità sino a quando le condizioni di salute lo consentano.