Non capisco un tubo di calcio, anche se ovviamente ho attraversato la mia educazione sentimentale da “Tutto il calcio minuto per minuto” (ascolto ancora oggi con ammirazione il “nostro” Livio Forma, nato assieme a me alla "Rai") alle figurine "Panini" nell’apposito albo e scambiate con gli amici. Per cui c’è stato un periodo della mia vita, da piccolo, che ero una piccola enciclopedia ambulante. Oggi sono tiepidino e piuttosto analfabeta. Ma c’è una cosa che non ho mai capito: che cosa si agiti nel sottobosco del calcio minore, come evidenziato dalle vicende da pochade del "Valle d'Aosta calcio", che non sono le prime e non saranno le ultime. Chissà che prima o poi non ci sia un collega che sveli le vicende e i protagonisti che, negli ultimi decenni, hanno portato ad un declino di quello che chiamerei, con semplificazione, viste le denominazioni susseguitesi nel tempo, “l’Aosta”. Il calcio in Italia - mi ricordava sempre Eddy Ottoz, che non manca di una spietata capacità di analisi - è una specie di canchero che avvolge lo sport italiano come una cappa mefitica in alto come in basso. In alto le cose vengono fatte - lo dicono inchieste di vario genere - con eleganza truffaldina al limite della bancarotta e nella simpatica compravendita di partite. In basso siamo spesso alla suburra con scorno di tutti quelli che ci credono veramente e sacrificano tempo e soldi, superati a destra dai soliti furbi.