Il Tibet è un Paese occupato dai cinesi che stanno lavorando da anni per realizzare un'assimilazione culturale attraverso uno sradicamento dei caratteri originali di questo popolo di montagna. Questa politica prosegue da decenni e purtroppo sta ottenendo i suoi risultati. Ecco perché il valore simbolico dell'incontro alla Casa Bianca fra Barack Obama ed il Dalai Lama, capo spirituale dei tibetani e figura di riferimento per la difesa dei diritti del suo popolo, fa arrabbiare i cinesi, che hanno a che fare con il pugno di ferro con diverse minoranze nazionali nel loro vastissimo Stato. Ho incontrato, in un riunione a Montecitorio tanti anni fa, il Dalai Lama, che aveva parlato ai deputati italiani delle vicende travagliate e dolorose del suo popolo. Ho poi seguito la sua vita e il suo lavoro con un senso di crescente pessimismo, perché più la Cina cresce e si afferma sul piano mondiale e più il caso tibetano rischia di restare irrisolto. Le recente sanguinose repressioni sono la dimostrazione di una scelta diversa dal dialogo. E pensare che, basta leggere i suoi scritti, oggi lo stesso Dalai Lama immagina un regime autonomistico, sapendo che l'indipendenza è allo stato delle cose un'utopia. Su questo le Nazioni Unite dovrebbero spendersi, se questa grande organizzazione non fosse ormai un fantoccio immobilizzato da veti e controveti.