È una legge regionale del 1956, ancora in vigore, che dovrebbe essere incorniciata per la qualità del suo lessico e per la secchezza dell'articolato, sin dal titolo: "Norme per la limitazione e la disciplina della pubblicità stradale in Valle d'Aosta ai fini della tutela del paesaggio". L'articolo 1 dice: "Ai fini della tutela del paesaggio, nel territorio della Regione Valle d'Aosta è vietato di affiggere e di collocare, senza la preventiva autorizzazione dell'Assessorato regionale per il turismo, scritte, cartelli, insegne e oggetti di pubblicità commerciale o industriale lungo le strade e i sentieri soggetti a pubblico transito o in vista delle strade e dei sentieri stessi. Il divieto si estende anche alle strade statali, alle strade ferrate, ai tratti delle strade e dei sentieri costituenti traverse abitate dei Comuni e dei villaggi di montagna nonché alle zone site in vista delle traverse stesse". Non so se l'Assessorato abbia autorizzato il Comune di Aosta a mettere sulle rotonde in città i cartelli pubblicitari di recente installati, pur in modo garbato e minimalista. Non so neppure se sia vero che ciò avverrebbe contro il Codice della strada per evitare che automobilisti si schiantino aguzzando la vista e non mi infilo in dispute giuridiche. Conta il fatto che mettere la pubblicità in questo modo tradisce di fatto una preveggente idea di ordine e pulizia dei primi legislatori, padri dell'autonomia in una materia su cui inutilmente da anni discute il Parlamento italiano, sconfitto dalla lobby dei cartelloni. Per cui, senza accapigliarsi con commi e postille, sarebbe bene fare pulizia per mantenere una linea tracciata mezzo secolo fa: penso ne guadagnerebbero anche gli inserzionisti.