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18 dic 2010

La discussione sul patois

di Luciano Caveri

La "Pimpa" e gli altri personaggi animati del grande Altan parlano in francoprovenzale, "doppiati" da attori in patois. L'idea è carina e serve di certo ad avvicinare i bambini a questa nostra lingua millenaria, il "valdostano".  Come ho già ricordato, per me è stata una grande soddisfazione il riconoscimento del francoprovenzale nella legge di tutela delle minoranze linguistiche storiche del 1999, quando da Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio - con delega, tra l'altro, sulle minoranze linguistiche - vidi approvata una legge che avevo seguito passo dopo passo nel decennio precedente. Ora, a completamento giuridico, stiamo lavorando su di una norma d'attuazione dello Statuto. Purtroppo - e lo dico con autocritica - abbiamo avuto tutti la tendenza a delegare la discussione su questa nostra lingua agli ottimi esperti e ricordo fra gli altri l'ayassin Saverio Favre, sagace studioso della materia.  Mentre, naturalmente, esiste un versante politico che inerisce anche temi non solo tecnici, sintetizzabili nelle questioni di "normalizzazione linguistica" e non mi riferisco solo ad un fatto di grafia. Capisco che il busillis è come destreggiarsi fra la logica di una "koinè" (una lingua omogenea e standardizzata) e la straordinaria varietà locale dei nostri patois la cui uniformizzazione sarebbe un peccato. Ma il tema politico è quello di come contrastare il rischio di una lingua che per confrontarsi con la società dell'informazione e con gli strumenti di comunicazione di massa deve darsi regole e comprensibilità generale, perché una lingua per resistere non può più contare solo sulla dimensione familiare e comunitaria.