Quando, ormai molti anni fa, ho cominciato ad occuparmi di politica, ho capito che uno dei doveri degli eletti valdostani - specie nelle esperienze che ho e che ho avuto a Roma e Bruxelles - dovesse essere quello di occuparmi dei problemi della montagna. Con una duplice chiave di lettura: a beneficio di un territorio e di una popolazione montani come la nostra Valle; ma anche in una logica solidaristica e di alleanze con le "altre" montagne. Per questo, non a caso, mi sono sempre occupato di questi argomenti, diventandone, come si dice, un "esperto", anche se la vita mi ha insegnato che non si finisce mai di imparare. Quel che mi è piaciuto di più di questa attività è stato lo scambio di conoscenze e la consapevolezza crescente che in quel plurale "montagne" ci sta dentro una realtà straordinaria che deve, alla fine, essere ordinata e trattata con norme giuridiche. Altrimenti sarà solo la retorica ad impadronirsi dei problemi montani. Così anche quest'anno, in un convegno a Saint-Vincent questo pomeriggio, potrò dire la "mia" e lo stato d'animo, come spesso mi capita, oscilla fra ottimismo e pessimismo. L'ottimismo, in questo pendolo degli umori, è rappresentato dall'articolo 174 dei Trattati europei che, come sanno i lettori attenti, per la prima volta parla finalmente della particolarità dei territori montani e bisogna infilarsi in fretta in questa porta prima che si chiuda. Il pessimismo, invece, è il "caso italiano" dove spariscono non solo le comunità montane, simbolo forse maldestro della "montanità" ma pur sempre simbolo, ma - assieme ai soldi che le finanziavano - si annuncia anche il funerale dell'associazione storica, risalente al 1952, nota come "Uncem" (Unione nazionale Comuni Comunità ed Enti montani), destinata a confluire nell'associazione dei Comuni, parenti-serpenti, dell'Anci. Una campana a morto che la dice lunga sul tremendo sfilacciamento, impensabile ai tempi in cui in Parlamento battagliavo per la montagna italiana.