Non ho più scritto dell'impegno dei militari italiani, specie degli alpini, in Afghanistan. Da una parte perché l'ho già fatto, ricordando proprio il ruolo fondamentale delle truppe alpine storicamente legate alla nostra Valle, dall'altra perché nell'ormai trascorso periodo natalizio un fiume di retorica ha investito tutte le televisioni, che sembravano essersi messe d'accordo sulla descrizione di quanto fosse tragico il Natale senza i familiari per i nostri militari e in più in un rischioso scenario di guerra. Tutto vero: ma siamo di fronte a militari di carriera che svolgono un lavoro che hanno scelto, di cui conoscono rischi e modalità. Qualche lacrimuccia ci sta, ma ettolitri di lacrime no. Ma oggi ne parlo di nuovo dopo le ultime notizie sulla più recente delle morti, quella dell'alpino veneto Matteo Miotto, il cui padre aveva chiesto subito: «ditemi la verità». E la verità pareva cristallina: un cecchino. Ora, invece, si scopre che il papà aveva ragione - e forse sapeva qualcosa da qualche commilitone - e un imbarazzatissimo Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha annunciato ieri che la morte di Miotto è avvenuta durante un attacco vero e proprio ed il cecchino era solo un aspetto di una dinamica complessa. Ora lo stesso Ministro sostiene, per svelare il perché della bugia, di non aver avuto notizie veritiere sulla dinamica dei fatti e di «essere arrabbiato» con i militari. "Arrabbiato?!?" In casi di questo genere devono cadere delle teste, perché in democrazia la trasparenza è un dovere.