Mio padre era un instancabile battutista: appena aveva un'occasione si esibiva in una battuta scherzosa o salace e io da ragazzino mi vergognava mortalmente perché dal guizzo nei suoi occhi avevo imparato a prevedere il momento in cui lo avrebbe fatto e mi imbarazzava da morire (oggi lo stesso fenomeno ce l'hanno i miei figli che mi ammoniscono della serie «non dire cretinate»). Spesso poi papà raccontava barzellette che arricchiva periodicamente con un repertorio di cui mai ho conosciuto l'origine, come una specie di inesauribile Gino Bramieri, e che, quando era ottuagenario, avevano raggiunto livelli da "luci rosse". Un classico di battutaccia, era quella, a partire da una certa età e chiamandosi lui Sandro, «sono in sandropausa». I suoi scherzi, come veterinario, erano proverbiali e lo accompagnavano in quel mestiere che si era scelto, abbandonando gli studi di Giurisprudenza dopo aver visto i campi di sterminio e d'internamento in Germania fra il 1943 e il 1945, a soli vent'anni. «Le mucche - sentenziava magari alla fine di aneddoti agghiaccianti sul lager - sono meglio degli uomini», spiegando la scelta di lasciare il Diritto per la Veterinaria. Mi hanno raccontato un suo numero classico: mucca con mal di pancia. Se trovava il soggetto giusto lo svolgimento era il seguente. Alzava la coda della mucca e fingeva di guardare nel sedere, mentre piazzava il malcapitato, ovviamente il fesso di turno, davanti al muso della bestia, invitandolo a guardare in bocca all'animale. «Mi vedi?» chiedeva. L'altro ovviamente diceva: «No, non ti vedo». «Bene - concludeva - allora è indigestione!». Oppure quel tizio di Antagnod, che anni dopo diede purtroppo di matto. Papà aveva saputo che non era stata accolta la sua richiesta di entrare nella latteria turnaria e addirittura, votando con le fave nere per il "no" e con quelle bianche per il "sì", si era prodotto un risultato tranchant: più fave nere che votanti! Mio padre si era trovato a visitare una mucca della sua stalla e, dopo aver finto un lungo cogitare, aveva sadicamente concluso: «Deve avere delle fave... nere sullo stomaco!». Con il passare degli anni mi accorgo - maledizione! - che anch'io, in certe circostanze, non riesco a trattenermi dalla frasetta scherzosa e faccio malissimo perché in politica non si dovrebbe fare. Per altro, ho ereditato anche la sua "medicina del sorriso" come antidoto contro i veleni della vita e lo ringrazio per questo.