La tragedia della montagna che ha colpito in queste ore una guida del Cervino, Roberto Rossi, è di quelle che addolorano anche per la dinamica. Mentre scendevano fuori pista, dopo essere stati depositati da un elicottero, una placca di neve "soffiata" investe la guida e suo padre Arrigo, che perde la vita nell'incidente. Un fatto tremendo pensando che proprio il papà aveva trasmesso quella passione per la montagna che il figlio aveva concretizzato nella scelta di diventare un professionista del settore.
Purtroppo questa vicenda, che si somma a tanti episodi, conferma quanto l'attenzione in alta montagna non sia mai abbastanza anche da parte di persone, come in questo caso, esperte ed attrezzate. Se conto mentalmente quanti amici ho perso in montagna, la conferma viene subito e lo scrivo senza nessun allarmismo. L'alpinismo, nelle diverse forme d'approccio alla montagna, comporta un'assunzione di responsabilità elevata ed è bene segnalare che ogni forma di cultura della montagna e di di prevenzione dei rischi finisce per fermarsi sulla soglia dell'imponderabile. Qui, infatti, non discutiamo affatto di chi affronta la montagna senza elementari capacità o pecca di presunzione rischiando troppo, ma parliamo semmai di quella fatalità incombente che si accresce con l'ostilità dell'ambiente dove un evento imprevisto, un errore di valutazione o una semplice sfortuna possono fare la differenza. Questa significa una scelta soggettiva: chi sceglie di testare le proprie capacità e di vivere la passione dell'alta montagna sa di avere una componente di rischio più elevata. Forse lette dall'esterno, per chi non sia addentro, certe dichiarazioni apparentemente rassegnate, a commento dei fatti, potevano parere "fredde" o ciniche. Si trattava, invece, di una semplice constatazione della scelta cosciente di chi nell'alpinismo accoglie anche i lati oscuri, quelli che purtroppo possono uccidere.