Ambiguità non possono esserci: l'unità d'Italia è una realtà storica e non si ragiona sul passato ormai consolidato con i "se" e con i "ma". Scenari alternativi sarebbero stati possibili, ma gli avvenimenti concatenati sono stati quelli noti. Per la nostra Valle ci sono stati diversi passaggi delicati, partendo dal "distacco" con la Savoia del 1860 e poi dall'unificazione al fascismo è stato un progressivo degradarsi dei rapporti con - nessuno si offenda ma è così che dico spontaneamente e senza ideologismi - l'Italia. Questo ha comportato un crescendo di incomprensioni verso i Savoia compromessi con il regime fascista e per questo i valdostani hanno voltato la schiena alla Monarchia votando la Repubblica (chi è rimasto monarchico dopo il 1946 è patetico). Il dopoguerra, specie a cavallo fra la coda della Resistenza e l'emanazione dello Statuto nel 1948, è stato un periodo di grandi passioni da cui è emersa l'Autonomia speciale in una visione antifascista come eredità contro ogni dittatura. Chi è federalista avrebbe preferito altri scenari e come valdostano conosco i limiti del nostro regime autonomistico. Per cui l'unità d'Italia vale come riflessione su quel che siamo più che su che cosa saremmo potuti essere. Non mi interessa la "fantapolitica" (o la - scusate il neologismo - "fantastoria"), perché è bene ragionare sull'oggi e sulle decisioni future. Questo oggi manca in larga misura: sembra esserci una visione solo materialistica e l'ideale o la speranza sono considerate sovrastrutture. Un certo cinismo mi addolora ma mi convince che questa visione della "roba" (per usare la celebre definizione di Giovanni Verga) come cardine di una sorta di bramosia del possesso arida e avida non porta da nessuna parte. Per cui oggi si può pensare all'unità come occasione per guardare al futuro, ma sapendo guardare più in alto e non solo al gonfiore del proprio portafoglio.