Con Steve Jobs se ne va un pezzo della vita delle generazioni che, come la mia, sono state al centro di una rivoluzione sconvolgente. "Apple" è stata la società che forse più di tutte le altre, nella logica genio e sregolatezza di Jobs (celebre il suo motto «siate folli, siate affamati», che dovrebbe essere scolpito sui muri perché il mondo lo cambiano gli innovatori e non i conservatori), ci ha consentito di avere degli strumenti tecnologici che ci hanno dato più libertà. Ho seguito le "pazzie" di Jobs dai primi "Macintosh" in poi e oggi, pur convivendo con gli altri mondi paralleli dell'informatica, sono un "iPhoniano" convinto che usa anche "iPad" e la mia vita è cambiata nell'uso quotidiano di questi aggeggi. Credo che due siano i filoni: il primo è il "sapere" che sotto varia forma ti può essere trasferito nella semplificazione del lavoro e per il tuo arricchimento personale, il secondo è - prezioso contro la marginalizzazione di zone come le nostre - che il sapere viene decentrato e da un qualunque luogo fisico, laddove certo ci dev'essere un collegamento via Internet, ti connetti con il mondo intero. Jobs veniva sfottuto come un "guru" delle nuove tecnologie per la sua capacità di comunicare e una sorta di ossessione ai continui miglioramenti in un ambiente competitivo in cui non ci si può fermare. Questo aspetto febbrile è quello che gli ha consentito di guardare avanti e di esplorare spazi scientifici non ancora conquistati. Resterà solidamente nella storia e ha lasciato la scena con grande dignità, mostrando senza problemi - ancora nelle ultime apparizioni pubbliche - la sua lotta coraggiosa e esemplare contro la malattia.