Leggo sempre con interesse quel che scrive l'editorialista del "Corriere della Sera", Massimo Gaggi, sugli Stati Uniti. Uno può girarla come vuole, ma la fase depressiva europea e l'incertezza dell'economia mondiale rilanciano l'America e la sua capacità d'adattamento in barba a chi, con periodicità e talvolta con malcelata soddisfazione perché l'antiamericanismo è una malattia infantile come gli orecchioni, sancisce la fine del "ruolo motore" degli States. E gli americani, vero crogiolo di sottoinsiemi che formano un unicum, ti stupiscono restando cartina di tornasole di molti fenomeni sociali, anche se non sono sempre simpatici e certo dietro le speculazioni sull'euro ci sono anche speculatori a stelle e strisce. Da lì arrivano non a caso le ultime sulla frontiera di Internet, lo strumento che con i suoi contenuti ha cambiato nel volgere di pochi anni la nostra vita. Si riduce sempre di più la percentuale di chi resiste fra snobismo verso le nuove tecnologie e le sue potenzialità e la rassegnazione a questo tipo di nuovo analfabetismo che esclude chi non conosce la Rete. Gaggi racconta del rischio che Internet possa diventare, specie per i più giovani, una nuova forma di disagio mentale (lui usa il termine "disordine mentale"). Un americano sta mediamente davanti allo schermo dei diversi aggeggi elettronici otto ore al giorno, che salgono ad undici fra i più giovani. Come tutte le medie questo vuol dire che c'è già chi supera queste cifre, vivendo ancor di più nel mondo virtuale che in quello reale, schiavo di una vera e propria dipendenza. Gaggi cita una frase di Eric Schmidt, presidente di "Google", che ha detto: «ragazzi, almeno per un'ora al giorno, smettete di fissare i vostri schermi e guardate negli occhi le persone che amate. Parlate, avviate una conversazione vera». Insomma certe nuove tecnologie e la logica dell'"essere connessi" possono essere un vantaggio a condizione che non impoveriscano il contatto umano e quella socialità senza la quale possiamo diventare una specie monade digitale, perché il mondo vero non ci appartiene più.