Se mai scriverò una retrospettiva della mia attività parlamentare, quando le circostanze mi daranno più tempo libero, uno dei punti più singolari che risulterà dagli atti - ci sono ordinati resoconti che restituiscono bene il lavoro alla Camera - è il continuo interesse a tutela della Casa da gioco di Saint-Vincent. Un'azione politica di nicchia ma importante per la nostra Valle. Questa attività del gioco è nata e cresciuta, per intuizione brillante della politica locale, nel secondo dopoguerra (mio zio Severino Caveri ebbe da Presidente il coraggio di aprire il "Casinò di Saint-Vincent", temendo la chiusura immediata da parte dello Stato) ed è stata una "miniera d'oro" per anni per la giovane autonomia speciale. Infatti, grazie al denaro delle decadi, cioè i versamenti che il gestore privato effettuava alla Regione ogni dieci giorni, questo sfruttamento del gioco d'azzardo - in deroga al codice penale - ha fatto vivere l'Amministrazione regionale in tempi di magri trasferimenti finanziari da Roma e ha contribuito a rimpinguare per molti anni le casse regionali anche dopo la stabilizzazione del riparto fiscale. Di conseguenza, tranne quanto sta curiosamente avvenendo in questo periodo in cui un silenzio tombale è caduto sulla crisi senza precedenti della Casa da gioco in un contesto negativo italiano, europeo e mondiale, il Casinò - la più grande azienda su concessione in passato, oggi interamente pubblica - è stato un tormentone nel bene come nel male nel dibattito politico attraverso i suoi quarantacinque anni di storia. Il mio compito per anni, prima che la diga di difesa contro la liberalizzazione si rompesse e l'Italia diventasse la patria dello Stato biscazziere senza eguali nel mondo, era stato quello di evitare la nascita "selvaggia" di nuovi Casinò e di limitare i danni per attività concorrenziali tipo sale bingo in un primo tempo e poi videopoker e slot machines nei bar. Purtroppo a un certo punto una parte crescente del Bilancio dello Stato e strane connessioni con la malavita hanno creato tutte le condizioni di un gioco diffuso e senza limiti reali, che hanno causato uno tsunami per le Case da gioco tradizionali. Un fenomeno che è stato crescente ed è inutile contarsi troppe storie o costruirsi alibi: il settore è in crisi profonda e in grande trasformazione come mostra la tipologia di clientela e nessuno per ora, malgrado gli sforzi, riesce ad andare al di là di una attenuazione infinitesimale dei danni, pensando anche, come nel caso valdostano, all'avvenuta riduzione drastica dell'occupazione e al calo dei profitti per tutti, dai trasferimenti alla Regione decrescenti sino di fatto a sparire alla riduzione degli introiti per i croupier (i tecnici che dovrebbero essere il cuore di un Casino, laddove non ci siano troppi impiegati amministrativi). Ora è in atto un piano di sviluppo nella logica, di cui si è discusso per anni, di modernizzazione della parte alberghiera e congressuale del "Billia" con quella delle sale da gioco e zone annesse. Il contesto è difficile e in questa fase di passaggio più che mai non è facile la scelta della rotta per quella sorta di grande nave da crociera che è il Casinò per non avere brutte sorprese. Schettino docet.