Vorrei parlare della primavera, di cui in questi giorni abbiamo avuto qualche avvisaglia. Le giornate si sono allungate, al mattino gli uccelli ormai "scongelati" fischiettano, il calore del sole - quando appare - è già diverso. La nostra "parte animale", sepolta dalle mille sovrastrutture della nostra umanità, la sente arrivare, anche se - meravigliosa banalità da conversazione - prima o poi, in barba al fatto che dovremmo essere creature pensanti, ci sentiremo scappare di bocca che «non ci sono più le mezze stagioni» e la primavera annunciata lo è. Aggiungo solo che la stagione che verrà è anche quella che maggiormente esalta l'altimetria impressionante della nostra Valle, che dal fondovalle risale sino alle cime, come se l'inverno morisse lentamente in alto e più in basso nascesse la bella stagione. Ma non riesco a scrivere, e non è il crampo dello scrivano o la circostanza che oggi piove, è uno stato d'animo che mi rode e che riguarda questi giorni come concentrato di questi mesi e direi di questi anni. Oggi ho incontrato una persona che conosco da tanto tempo e che ho sempre visto sorridente sotto i suoi baffi e mi diceva, sconsolata, come non vedesse nessuna luce apparire per ora in fondo al tunnel. Lo diceva con una luce d'improvviso spenta negli occhi. La crisi di questi tempi è come una piovra con tanti tentacoli: è in crisi l'economia con a cascata conseguenze per le persone, le famiglie, le imprese e si riverbera, per diverse ragioni, sulla spesa pubblica che stringe i cordoni della borsa e pesa sui servizi erogati dello Stato Sociale cui siamo ben abituati, specie in Valle d'Aosta; è una crisi della politica e delle istituzioni democratiche, di cui è esempio lampante la confusione che regna a Roma nel disastroso post elezioni e pure in Europa dove il processo d'integrazione brancola nel buio; è una crisi morale, di fiducia, di partecipazione che accentua i problemi, le divisioni e in sostanza scoraggia. In Valle i tre aspetti hanno una connotazione originale, ma il mix di crisi agisce con forza e non siamo fuori da questa sensazione generalizzata di smarrimento e nessuno può far finta di niente. Io ho ripreso un cammino deciso in politica perché penso che la reazione sia un dovere di tutti, senza alcuna distinzione, ma senza neppure essere ipocriti con chi queste crisi le vede e le palpa, ma la cui reazione massima è qualche espressione retorica e verbale. Come se il potere evocatore delle parole fosse una panacea buona per guarire i mali, come se si confidasse in un effetto placebo, sostitutivo di un farmaco, ma che non ottiene invece nulla di concreto, proprio perché in realtà privo di quelle sostanze indispensabili per la guarigione. Riprendiamoci in qualche modo la primavera. Lo dobbiamo a noi stessi, a chi amiamo, alla nostra comunità e a tutto il resto. Io non voglio che la tristezza e le paure ammorbino le nostre vite. Il mondo è bello perché è a colori e non possiamo accettare che una patina di grigiore incomba sulle nostre vite e l'unica speranza è quella di una generale ripartenza. Almeno per quello che ci compete, come si direbbe con un linguaggio da verbale.