Quando partecipo alle feste con i miei coscritti, mi impressionano sempre dei miei coetanei che hanno memorie freschissime della comune infanzia. Li invidio perché io non ho ricordi così fluenti, ma sono come degli spezzoni di un film che tornano alla mente solo se evocati in qualche modo. Ci pensavo questa mattina, rievocando le mie nonne e episodi precisi che si incrociano. A Castelvecchio di Imperia, dove passai molte estati della mia infanzia, c'era a due passi da casa una chiesa gestita da preti che mi impressionavano per il loro incredibile abito talare. Erano padri camillani, che portavano sui loro abiti chiari delle enorme croci rosse e ricordo, come fosse oggi, che mia nonna materna, Ines, marchigiana tutta d'un pezzo, mi ammoniva: «Questi aiutano i poveri e i malati!». Capitava che qualcuno di questi preti venisse a trovarci a Verrès e i loro mantelli, dove la croce rossa era gigantesca, mi parevano da bambino quelli di antichi crociati medioevali. Ma c'era un'altra congregazione religiosa, che veniva ogni tanto a casa per delle visite, quello delle suore giuseppine di Aosta. Le ricordo, composte e sorridenti nelle tonache austere, che raccontavano - e io ascoltavo silenzioso - della generosità e dello spirito caritatevole verso i poveri della mia nonna paterna, Clémentine, che non ho mai conosciuto. "Povertà": una parola antica che sembrava destinata a scomparire negli entusiasmi dello Stato Sociale. E proprio ieri sera - e questo ha suscitato questo post - in una riunione politica uno dei presenti ha raccontato, con trasporto, di avere avuto conferma, proprio dalle suore di San Giuseppe di Aosta, di come sia cresciuta a dismisura qui in Valle la richiesta di aiuto materiale - ad esempio vestiti usati - da parte di famiglie in difficoltà. Ricordo di aver letto cifre analoghe per il "Banco alimentare", che fornisce roba da mangiare a chi ne ha bisogno. Leggevo uno dei rapporti "Istat" più recenti che così descrive il fenomeno, da allora ancora peggiorato: "Nel 2011, il 28,4 per cento delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell'ambito della strategia "Europa 2020". L'indicatore deriva dalla combinazione del rischio di povertà (calcolato sui redditi 2010), della severa deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro ed è definito come la quota di popolazione che sperimenta almeno una delle suddette condizioni. Rispetto al 2010 l'indicatore cresce di 3,8 punti percentuali a causa dall'aumento della quota di persone a rischio di povertà (dal 18,2 per cento al 19,6 per cento) e di quelle che soffrono di severa deprivazione (dal 6,9 per cento all'11,1 per cento)". Il sociologo Michele Cioffi ha scritto sul tema "nuove povertà" righe illuminanti rispetto all'aridità dei dati: "Quando si parla di "nuova povertà" si intende un fenomeno che riguarda persone che si ritenevano fino a poco tempo fa relativamente protette e al sicuro (dal punto di vista economico e lavorativo) e per le quali era lontanissimo il ricorso a forme di aiuto di tipo assistenziale: insomma, sono persone "povere da poco tempo" e che certamente non se lo aspettavano. I "nuovi poveri" si sommano a coloro che - usando una definizione emersa nel corso del seminario - sono "poveri sempre", ovvero coloro che sistematicamente, da diversi anni, fanno ricorso a un qualche tipo di sostegno al reddito; tutto sommato - a quanto emerge da questa indagine - questi ultimi non sono stati particolarmente toccati dalla crisi economica. È invece su coloro che eloquentemente Antonella Meo (ricercatrice del Dipartimento di Scienze Sociali di Torino) ha definito "persone in corsa" che la crisi ha fatto sentire tutto il suo peso, ad esempio sui giovani che avevano acceso un mutuo per la casa e stavano per creare un nuovo nucleo familiare. Contemporaneamente v'è stata anche una "de-stabilizzazione degli stabili", cioè un aumento del rischio di povertà a causa della perdita del lavoro o dell'ingresso in un periodo di "cassa integrazione" per quelle persone che fino a poco tempo fa possedevano di un lavoro, appunto, stabile. (...) Sempre più giovani - specialmente precari -, donne e uomini maturi che vivono da soli e che hanno difficoltà reddituali, nonché coppie di giovani, oggi richiedono sostegno al reddito; insomma, pare sia in corso grande cambiamento rispetto al passato delle fasce di popolazione cadute nella trappola della povertà". Sono elementi di preoccupazione e riflessione da non prendere sottogamba e la rete di solidarietà sociale, nelle forme più datate e in quelle più recenti, non esime le autorità politiche dalla ricerca di strumenti nuovi di intervento, la cui chiave è e resta nella maggior parte dei casi il lavoro.