Saluto Guido Dondeynaz, che ci ha lasciati dopo una malattia che non aveva spento la sua passione civile. Lo avevo conosciuto come sindacalista, poi - come avviene nei casi della vita - ci eravamo trovati in coppia come parlamentari valdostano nel corso della tredicesima Legislatura, che durò dal 1996 al 2001 con il susseguirsi di quattro Governi, uno di Romano Prodi, due di Massimo D'Alema ed uno di Giuliano Amato. Per me fu l'ultimo mandato parlamentare, che terminai prima da Sottosegretario e poi con un breve periodo di doppio mandato fra Roma e Parlamento europeo. Era stata una campagna elettorale assai vivace la nostra, in cui - come capita in questi casi - si era cementata una complicità maggiore della precedente conoscenza. Poi ci fu il lavoro in comune con giorni di maggiore e minore sintonia, come capita anche alle coppie politiche, ma nei rapporti istituzionali eravamo sempre stato affiatati. Ma il tempo aveva aggiustato qualche spigolo e negli anni successivi, nelle parabole delle rispettive vite, era capitato di ricordare, come due vecchi coniugi, quegli anni delicati che avevamo vissuto assieme, lui al Senato ed io alla Camera. Oggi lo ricordo con affetto e ricordo la sua testardaggine e la voglia di capire. Io, cresciuto con tanti "ayassin" per mio papà veterinario di quella vallata, ritrovavo in lui - pur urbanizzato in Aosta da tanti anni - il patois musicale di lassù e di quella repubblica particolare che è da sempre Saint-Jacques, cui non a caso - essendo villaggio di origine walser - andrebbe aggiunto "des Allemands". Era un lettore onnivoro, usava da precursore le nuove tecnologie, amava in profondità la sua famiglia e spesso parlavamo dei suoi "ragazzi" e di sua figlia, di cui era fiero. Aveva capito, in tempi in cui non ce ne accorgevamo, per il suo lungo lavoro di sindacalista alla guida della "Cisl" (utile anche nei rapporti romani), la centralità del tema del lavoro e di come il diritto al lavoro fosse una pietra angolare di una comunità (parola che gli piaceva molto) come quella valdostana. Lo immagino che ci guarda sorridendo dal "suo" Monte Rosa, dopo aver attraversato i boschi che da casa sua conducono verso le cime più alte. Lassù, verso il cielo.