Ricordiamo l'antefatto su cui si è poi costruito il resto: il 17 marzo del 1861 venne promulgata ufficialmente la prima legge dell'ottava Legislatura (il conteggio era iniziato a partire dall'8 maggio 1848, dopo lo Statuto albertino), la prima dell'Italia unificata. Si legge nel testo: "il re Vittorio Emanuele II assume per sé e i suoi successori il titolo di re d'Italia". Nel 1961 si festeggiarono "una tantum" i cento anni da questa data e lo stesso capitò nel 2011. Visto che quest'ultima celebrazione fu riempita di gran retorica, si pensò di stabilizzarla e così - pur su flebili basi storiche e nessuna reale adesione popolare - la legge numero 222 del 23 novembre 2012, in materia "Norme sull'acquisizione di conoscenze e competenze in materia di "Cittadinanza e Costituzione" e sull'insegnamento dell'inno di Mameli nelle scuole", si stabilì l'istituzione della "Giornata nazionale dell'Unità", della Costituzione, dell'inno e della bandiera" a cadenza annuale. Pur rimanendo un giorno lavorativo, il 17 marzo viene ora considerato come "giornata promuovente i valori legati all'identità nazionale".
Per capire i rischi della grancassa nazionalistica leggete la norma come scritta: "La Repubblica riconosce il giorno 17 marzo, data della proclamazione in Torino, nell'anno 1861, dell'Unità d’Italia, quale "Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione, dell'inno e della bandiera", allo scopo di ricordare e promuovere, nell'ambito di una didattica diffusa, i valori di cittadinanza, fondamento di una positiva convivenza civile, nonché di riaffermare e di consolidare l'identità nazionale attraverso il ricordo e la memoria civica». Cosa di la «didattica diffusa», nella mia povera ignoranza non è dato sapere, ma quel che è certo - detto con crudezza - è che di questa nuova festività senza festivo non gli è ne importante un fico secco a nessuno. Che questo rischio aleggiasse lo dimostra - quest'anno come sempre - l'adesione nulla della popolazione italiana verso la Festa della Repubblica del 2 giugno. Ne ricordo brevemente le origini: Il 2 e il 3 giugno 1946 si tenne il referendum istituzionale a suffragio universale con il quale i cittadini italiani dovettero scegliere fra Monarchia e Repubblica, dopo la caduta del fascismo. Finiva così il regno dei Savoia: la Repubblica, infatti, vinceva con 12 milioni 718mila e 641 voti contro 10 milioni 718mila e 502. Un risultato su cui ancora oggi i residui monarchici piangono, invocando brogli nei risultati. Dal 1977, (legge numero 54 del 5 marzo) la festa fu accorpata con la prima domenica di giugno, per ragioni di congiuntura economica. Fu il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi a volere la reintroduzione della festività, che venne ripristinata dal secondo governo Amato, con la legge n. 336 del 20 novembre 2000». Chiaro? La data fondatoria della Repubblica scompare e riappare, come se nulla fosse, ma diventa il segno tangibile della scarsa adesione popolare a questa celebrazione. Insomma: questa breve ricostruzione dei fatti dimostra come qualcosa continui a non funzionare nel senso identitaria degli italiani. Non è il mio un proclama antinazionale, che farebbe sorridere nella sua inutilità, ma è un tassello ad un ragionamento politico e istituzionale. Non puoi imporre uno Stato nazionale centralista ad un'Italia che non è adatta a questo modello e lo si vede anno dopo anno. L'Italia federale resta il solo vestito adatto, malgrado il federalismo sia stato per oggi il grande perdente della storia italiana.