Ora, senza mandati elettivi e incarichi europei connessi, avrò più tempo per leggere e studiare. Confesso che una figura che vorrei approfondire - e non per chissà quale crisi mistica - è questo Papa argentino di origini piemontesi, Papa Francesco, che mi pare - lo dico subito - essere ingiustamente accusato di acquiescenza con la feroce dittatura argentina dei Generali.
Quel che ho sinora letto rimanda l'immagine di un Papa che definire "conservatore" significa solo imprigionare in uno stereotipo, perché è vero che in tema di morale o su alcuni problemi di diritti ha scritto molte cose che lo inchiodano in una certa continuità con Papa Ratzinger, ma molte cose che ha detto sinora sembrano avvicinarlo a un filone sociale che potrebbe riservare sorprese e cambiamenti. Vedremo in concreto gli esiti del suo Papato.
Ma ieri, in Piazza San Pietro, è stato molto chiaro sulle mafie e non a caso una sua frase è stata ripresa da tutte le agenzie: «Preghiamo perché questi mafiosi e mafiose si convertano». Ma la frase va inserita nel contesto della beatificazione di Don Giuseppe Puglisi nato nella borgata palermitana di Brancaccio il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta, ucciso dalla mafia nella stessa borgata il 15 settembre 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno.
Ha detto Papa Francesco: «Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto con Cristo risorto».
«Io penso - ha aggiunto poi a braccio, e questo è un segno del suo Pontificato - a tanti dolori di uomini e donne, anche bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che sfruttano loro facendogli fare il lavoro che li rende schiavi, con la prostituzione, con tante pressioni sociali, dietro di questi sfruttamenti, di queste schiavitù, ci sono mafie, ma preghiamo il Signore perché converta il cuore di queste persone, non possono fare questo, non possono fare i nostri fratelli schiavi, dobbiamo pregare il Signore, preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio».
Non so se così potrà essere, ma la scelta di beatificare e di ricordare così Don Puglisi è un segno forte, pensando alle terribili complicità della Chiesa verso le mafie con quella agghiacciante fusione fra criminalità e fede, che è testimoniata da letteratura e cronaca.
Ricordo, come istruttiva, una figuraccia fatta in quarta Ginnasio. la mia professoressa di Italiano, la rimpianta Irene Tieghi, mi fece leggere - da riassumere in classe - il capolavoro di Leonardo Sciascia, "Il giorno della Civetta", dedicato ad una storia di sangue degli anni Sessanta, esemplare della Sicilia mafiosa. Ingenuamente, nel riassunto fatto alla classe, scambiai il padrino, don Mariano Arena, con un prete, ingannato dal titolo "don". La prof ne rise molto e io presi una lezione di accuratezza. Ora so che avevo sbagliato di grosso, ma un granello di verità c'era per quel legame tremendo che porta, ad esempio la 'ndrangheta che vuole insinuarsi anche in Valle d'Aosta, a strumentalizzare i culti mariani, come la Madonna di Polsi, il cui Santuario nel cuore dell'Aspromonte è servito in passato per giuramenti di sangue e strategie criminali. Per questo Papa Francesco fa bene a non lasciare dubbi.