Vien da sorridere, per non piangere, a ricordare il celebre motto attribuito al famoso - almeno una volta - Giuseppe Garibaldi: «Qui si fa l'Italia o si muore». Ormai svaporata la storia risorgimentale, del tutto sconosciuto l'Italia liberale e gli eventi della Prima guerra mondiale, vagamente noti il fascismo e i fatti della Seconda guerra mondiale, destrutturate Resistenza e la Liberazione, resta il percorso dell'attuale Italia repubblicana, dopo aver seppellito la Monarchia sabauda. Vivi siamo vivi, per carità, ma se Garibaldi fosse vivo anche lui, per quanto la sua personalità fosse bizzarra, sarebbe rintanato nella sua casa di Caprera.
Oggi siamo - sulle rovine fumanti di un'Italia in crisi - con un curioso pendolo che oscila fra l'idea che la panacea (invece è solo un placebo) può essere una nuova legge elettorale sostitutiva di quella attuale, ormai porcina coram populo, e la fissazione che in questo disastro ci sia una via d'uscita salvifica: la "Grande Riforma". Intendiamoci bene: senza dover risalire ai primi federalisti italiani di due secoli e mezzo fa, è chiaro che chi crede nel federalismo rischia di essere preso come appartenente a quella setta "Tempio del Popolo", che organizzò un omicidio-suicidio di massa nel 1978. Ed invece i federalisti, ormai da proteggere come i panda, potrebbero piantare sulle attuali macerie la loro bandierina. Usando di conseguenza una delle frasi più inutili nel nostro vocabolario: «noi lo avevamo detto!» Per cui un federalista dovrebbe essere in prima fila ad invocare la "Grande Riforma", come faceva con le sue letterine Linus con il "Grande Cocomero". E invece secoli di sconfitte e di smacchi ha reso ereditario il callo, che provoca dolore al federalista, che - in caso si mettesse mano alla Costituzione, già in assenza di spirito costituente - sa già che si andrebbe di male in peggio. Il Governo Monti è stato in questo istruttivo, avendo confezionato un mix governativo con tanto di azioni concrete di autentica idolatria dello "Stato Nazione". Nello stesso solco c'è chi sogna una bella svolta presidenzialista, che a colpi di suffragio universale ci dia un salvifico "uomo della Provvidenza" che metta tutto a posto come un supereroe della "Marvel". Un misto efficace al Quirinale con comando anche su Palazzo Chigi fra l'Uomo Ragno, gli "X-Men", Capitan America, i "Fantastici Quattro", Iron Man, Hulk, Thor e Devil. Con Lui saremmo a posto e lo slogan potrebbe essere, per chiudere il cerchio, «Qui si fa l'Italia o si muore».