Oggi mi rifiuto di parlare di Silvio Berlusconi, penso ad altro, per favore. Sento, mentre scrivo, il rumore dei campanacci delle mucche di una mandria, impegnata nella "desarpa", la discesa nel fondovalle, per raggiungere le stalle invernali, del bestiame, a chiusura del periodo dell'alpeggio. Scherzosamente potremmo dire che è finita la vacanza, ma in realtà sappiamo bene che per la zootecnica alpina questo salire sempre più in alto nel cuore dell'estate vuol dire sfruttare i prati sino al limitare delle vette rocciose e produrre, nel caso valdostano, la fontina più prelibata. Le campane al collo delle "vatse" sono un rumore familiare per i valdostani e direi per molti abitanti delle Alpi. Anche se, ormai, molta parte del bestiame in monticazione sale e scende con i camion, per fortuna ci sono ancora allevatori tradizionalisti che scendono a piedi con le proprie bovine. In testa le "reine", quella del latte, la più produttiva, e quella delle corna, la più combattiva. Certo quelli che transitano ancora sulle strade, ci consentono di assistere ad un rito antico, che suona, più di molto altro, come la fine della bella stagione. Le mucche scendono dalla "montagne", come è detto in francoprovenzale l'alpeggio. Sul dizionario del patois di Aimé Chenal e Raymond Vautherin, ci sono delle frasi che ricordano questo uso. Ad esempio: "Una bouna, euna dzenta montagne" per definire un alpeggio produttive, oppure "Allé in montagne" per chi lavora, o infine "La comba de Biona l'at quatorze montagne" e cioè i quattordici alpeggi del vallone di Bionaz. A me piace questo termine "montagna" e in fondo penso che sia logico il suo impiego. Per la grandissima parte della popolazione, tranne qualche cacciatore o cercatore di quarzi, la montagna incombente sopra i grandi spazi erbosi era improduttiva, sino a quel secolo dei Lumi, il Settecento, in cui in un misto fra scienza e avventura, la montagna "estrema" venne sdoganata con la nascita dell'alpinismo. Ma mentre le montagne venivano sempre meglio catalogate e scalate, nessuno cancellava l'uso di "montagne" per quelle zone popolate, sin dall'antichità più remota, da quei pastori che avevano addomesticato le razze bovine locali, seguendo poi i loro ritmi naturali alla ricerca del cibo. Così la "desarpa" è una sopravvivenza, come una lunga radice che collega la Valle d'Aosta di oggi a quella civiltà rurale che un tempo dominava la nostra economia e a cui si deve il segno profondo di questa nostra montagna, coltivata e forgiata, per consentire la vita di un popolo di montagna.