Senza dover ricorrere all'anglicismo "exit strategy", ma usando l'espressione equivalente "via d'uscita", ci si chiede questa volta come si supererà l'impasse nella politica italiana. Sussurri e grida si moltiplicano, dopo che - con mossa inaspettata, forse calcolata o forse frutto di capricciosità - Silvio Berlusconi ha rotto la fragile tregua su cui si reggevano i destini del Governo Letta. Un esecutivo voluto dal Quirinale e dal Presidente, Giorgio Napolitano, confermato alla Presidenza della Repubblica, unico caso sinora, malgré lui, per la difficoltà del Parlamento di esprimere un suo successore senza troppi traumi. E il vecchio Capo dello Stato ha, senza alternative, imposto la coabitazione fra Popolo della Libertà e Partito Democratico, con un paziente lavoro di maieutica. Ma i guai giudiziari di Silvio Berlusconi hanno spezzato l'incantesimo e il Cavaliere si sente braccato dalla Magistratura, temendo che, alla condanna fatale per il suo seggio di senatore e per la sua candidabilità, seguiranno problemi ancora peggiori, compreso il rischio che aleggia di un vero proprio arresto (ma, per età, finirebbe ai domiciliari). Come un animale ferito e braccato, Berlusconi ha deciso, dopo aver detto il contrario in un messaggio televisivo "istituzionale", di rompere il giocattolo per andare alle elezioni. La posta in gioco è la sua sopravvivenza politica, ma anche del suo "impero" imprenditoriale, che potrebbe non sopravvivere ad un suo tonfo. Penso che si sia reso conto che non avrà, in questa fase, né clemenza né lasciapassare. Come un pifferaio magico, ha dietro di lui una lunga scia che, vera "corte dei miracoli", lo segue verso il baratro. Ma lo accompagnano, in questo suo ultimo viaggio in politica, anche milioni di italiani, pronti a seguirlo in qualunque avventura, perché stregati dal suo carisma, malgrado le evidenze dei suoi comportamenti pubblici e privati. È un tratto distintivo del carattere italiano, quello dell'innamoramento per un uomo del destino. Certo, se poi cadrà definitivamente, il berlusconismo si scioglierà come neve al sole e tra qualche anno saranno pochi ad ammettere di averlo seguito anche in questa sorta di "via crucis", che infligge alla dissanguata democrazia italiana. Questa situazione obbliga i valdostani a riflettere per capire quali analogie ci siano fra il loro quadro politico e quello italiano. La prima dimostrazione è che le "larghe intese" non funzionano, se sono - nella facile analogia fra Silvio Berlusconi ed Augusto Rollandin, maneggiando con attenzione le circostanze e le personalità assai diverse - una via d'uscita per consentire a chi è in fase declinante di restare sulla scena. La seconda è che proprio la cocciutaggine di non lasciare la scena finisce per diventare disastrosa per l'interesse generale. Si tratta di un comprensibile tratto umano, specie per chi calchi la scena da tantissimi anni e non si immagina una vita diversa. Ma non si può pensare che tutto si sfasci per questioni e interessi personali e per le reti di potere. E' naturale che ci sia a un certo punto, anche in politica e anche per chi ha mostrato capacità mista a molte astuzie e equilibrismi, una parola semplice e comprensibile: fine. Semplice da dire.