Ogni volta che sono stato in Provincia di Belluno è stato come un viaggio in un pezzo di storia della mia famiglia, visto che mio nonno René era stato Prefetto di Belluno dal novembre del 1920 al settembre del 1923 e mio padre - come i suoi fratelli, che seguirono il papà nella carriera prefettizia in giro per l'Italia - nacque proprio nella cittadina delle Alpi venete nel febbraio del 1923. In una lapide presso la Prefettura di Belluno ho trovato inciso il nome del nonno. Quando ebbi il ruolo di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega sulla montagna, andai ad inaugurare la "Fiera di Longarone" e fu l'occasione per una visita alla diga del Vajont (dal nome del torrente imbrigliato), teatro della tragedia che cinquant'anni fa, come oggi, uccise 1.910 persone. Vi assicuro che quei luoghi portano ancora, in profondità, il segno della tragedia, causata dalla stupidità e dall'avidità degli uomini sulla pelle dei montanari. La diga era stata costruita in una vallata pericolosa sotto il profilo geologico (la frana che causò l'ondata, che esondò dal muro della diga, cadde da un monte chiamato non a caso Toc) e la quota del lago artificiale era posta oltre i margini di sicurezza e, infine, gli abitanti della zona - molti di fronte al televisore per una partita di calcio o colti nel sonno attorno alle ore 22.39 - non erano stati allertati del rischio inondazione. Un'immane disastro, che lascia ancora oggi senza fiato, specie rileggendo la cronaca degli anni precedenti, che dimostravano quanto si possa parlare di un "disastro annunciato". Non per niente, come conseguenza di quei fatti, anche da noi si ebbe una sorta di ravvedimento sui rischi della diga del Beauregard (nome, preso da una frazione che venne sommersa, che suona come una presa per il naso) in Valgrisenche. Infatti, come per quella del Vajont, la grande diga costruita in Valle era minacciata da un movimento franoso sulla sinistra orografica in corrispondenza del Mont Pellà. Ma l'azienda costruttrice, "Società idroelettrica Piemonte" (la "Sip", che poi dopo la nazionalizzazione del settore elettrico si occupò di telefonia), aveva fatto orecchio da mercante sulla pericolosità manifesta, resa ufficiale anche da mio zio Séverin Caveri, allora Presidente della Regione. Ma all'epoca la Valle non aveva strumenti per bloccare la costruzione, che tra sondaggi e fine lavori coprì gli anni dal 1949 al 1958. Poi accadde il Vajont e la diga di Valgrisenche - si racconta sin da subito - venne ridimensionata e si abbassò drasticamente la quota dell'acqua, per evitare quel che era capitato nel bellunese. E' recente la riduzione, ancora in corso e lo sarà sino al 2015, del gigantesco muro in cemento della diga di Beauregard e alla fine l'impianto diventerà a tutti gli effetti a scorrimento, chiudendo una partita con la storia, che ha modificato profondamente la vallata di Valgrisenche. Anche a causa della tragedia del Vajont, che resta una strage a futura memoria.