Guardavo ieri, all'asilo frequentato dal mio bimbo, il gran affannarsi dei piccolini attorno alle caldarroste, il classico gusto e sapore dell'infanzia. Tutto ci sta: il fascino del fuoco, la magia della strana pentola e la castagna cotta a puntino da sbucciare fra il calore sulle dita e quel gusto pastoso del tutto inconfondibile. Qualcosa che arriva dal passato e che si trasmette da adulto a bambino. Oggi è una prelibatezza, ormai gestita da mafie asiatiche in grandi città come Roma, che non è per i nostri bambini - che non ne possono avere memoria - il ricordo della povertà di un mondo contadino, che ruotava attorno all’autoconsumo, ma diventa un elemento tradizionale, cui avvicinarsi per carpirne la forza incantatrice. E’ difficile oggi capire che cosa sia stata la castagna per vaste aree montane. Trovo, trafficando su Internet, una tesi di Laurea in scienze e tecnologie alimentari, di qualche anno fa, scritta da Carolina Giovannelli per la Facoltà di agraria, Dipartimento di biotecnologie agrarie, dal titolo: "La castagna: dal bosco alla tavola, tradizione ed innovazione". Si tratta di una disamina ad ampio raggio di un settore importante in passato e oggi in crisi per ragioni di mercato, ma anche a causa di malattie molto aggressive. L'incipit è tutto un programma: "La vita dell'uomo, specialmente quella del montanaro, in particolar modo sull'arco alpino e appenninico, è da sempre strettamente legata alla presenza del castagno nel paesaggio agrario. Durante il Medioevo e nell'Epoca moderna, i montanari fondavano un nuovo villaggio solo laddove il castagno poteva crescere e dare legname e frutti, indispensabili per le esigenze quotidiane (alimentazione, riscaldamento, costruzioni). Nei secoli passati la coltura ha sviluppato una vera e propria "Civiltà del castagno", ricca di usi, tradizioni, norme giuridiche, statuti comunali, tecniche agronomiche, controllo dei boschi e del territorio, con lo scopo di proteggere e valorizzare questa preziosa pianta, che si presentava come la principale, se non unica fonte di sostentamento". Interessante un passaggio: "La valorizzazione della coltura è resa difficile da diversi fattori, quali consumi ancora molto legati alla stagionalità, indirizzati verso i prodotti più conosciuti (caldarroste, creme, marrons glacés), inefficienti tecniche di post raccolta e condizionamento (fondamentali per una buona conservazione), alle quali si affianca un disinteresse da parte delle attività di promozione e marketing. Per incrementare il mercato della castanicoltura si devono quindi proporre specialità innovative dal punto di vista tecnologico, in grado di destagionalizzare l'offerta e migliorarne l'immagine supportandola con adeguate promozioni commerciali". Si aggiunge poi una sottolineatura decisiva: "Il settore dei trasformati spazia dalle tradizionali castagne secche e farina, ai nuovi prodotti come le castagne precotte al naturale e conservate sotto vuoto, ai cereali e snack realizzati per cottura estrusione. Quantitativamente sono rilevanti le trasformazioni in creme o purée, i marroni canditi ed i marrons glacés. Offerte innovative si hanno nel settore delle bevande quali bibite analcoliche (Corea), a bassa gradazione alcolica come le birre (Corea e Corsica), liquori (Italia e Francia) e distillati (Giappone)". Per me è davvero un prodotto bifronte: dalla caldarrosta al marron glacé. Sono due gusti agli antipodi, che dimostrano la versatilità d'uso di un frutto "povero", che - con cottura rustica - mostra il suo lato grezzo per poi diventare, con la glassa sopra, alta e raffinata pasticceria.