Il disegno di legge costituzionale, che viaggia più o meno in parallelo con la nuova legge elettorale per la Camera dei deputati (il Senato viene già dato per soppresso), noto come Italicum, è un provvedimento monstre, intitolato a grandi caratteri: "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione". Non è, in questo caso, uno spot pubblicitario, ma un testo vero e impattante, che dovrà viaggiare con l'iter complesso e senza scorciatoie - per fortuna... - dell'articolo 138 della Costituzione. Siamo di fronte ad un articolato che, in barba a Bicamerali, Commissioni parlamentari, confronti e dibattiti si abbatte come una folgore sulle istituzioni repubblicane con una visione - spiace scriverlo - neocentralista. Vanno, al momento, ristrette le osservazioni alle conseguenze per la nostra autonomia speciale, pur ovviamente senza perdere di vista il quadro generale. Infatti il dato di partenza è la volontà di controriforma (se preferite: "restaurazione") della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, voluta dallo stesso centrosinistra, che oggi cambia rotta. Finita l'epoca delle grandi ma in realtà improduttive affermazioni federaliste, cui corrispose - con buona pace di una Lega che fini presto di essere di lotta, preferendo essere di governo... - semmai un lieve progresso del regionalismo, compreso quello ad autonomia differenziata, ora si fa marcia indietro. Un pentimento senza ragione, forse comprensibile in uno Stato nazionale funzionante, ma da noi chi pensi di riaccentrare su Roma non è vittima di solo di un abbaglio personalista, ma anche di un disegno che si rivelerà disastroso. Non fosse altro che le riforme costituzionali si fanno quando c'è uno spirito costituente, oggi nullo. Pensiamo alla scelta di uscire dal sistema del "bicameralismo perfetto", come se fosse una panacea. Non siamo di fronte alla nascita - come si sarebbe dovuto fare - di una vera e propria "Camera delle Regioni", perché il vecchio Senato, una volta soppresso, lascerebbe il posto ad un'Assemblea ben diversa dalle Camere presenti nei sistemi federali. Di fatto saremmo in un sistema monocamerale (unico "doppio voto" resterebbe per le leggi costituzionali) e la seconda Camera sarebbe un organo consultivo, che perde anche il suo ruolo nella fase di fiducia all'atto della nascita dei Governi. Insomma, una scatola vuota. La composizione poi, che mette Regioni e Comuni sullo stesso piano, è umiliante per il regionalismo e, con questa forte componente comunale, opera sul meccanismo di "divide et impera" nel mondo autonomistico a vantaggio dello Stato. Non si capisce - piccolo particolare - quanti senatori avrebbe la Valle, non essendo novellato l'articolo 42 dello Statuto, che prevede con rango costituzionale la presenza di un solo senatore, mentre la previsione generale ne prevederebbe tre regionali (presidente della Regione più due membri votati dal Consiglio Valle) più tre sindaci (votati dall'Assemblea dei sindaci). Segno di una certa sciatteria giuridica. La riscrittura dell'articolo 116 della Costituzione, che abolisce per le "ordinarie" la possibilità di ottenere poteri e funzioni particolari oggi in capo alle sole autonomie differenziate, conferma solo in apparenza lo "status quo" ed è priva del "principio dell'intesa" per la modifica degli Statuti, attesa da decenni e vera chiave di volta. L'elenco delle materie che tornano in capo allo Stato e la soppressione delle materie concorrenti sono deprimenti per il regionalismo. Nello scorrere le nuove materie esclusive dello Stato, in assenza di meccanismi veri di tutela delle "speciali" nelle materie già proprie, c'è da restare stupiti. Tipo l'insidioso "coordinamento della finanza pubblica", "protezione civile", "ordinamento scolastico", "previdenza integrativa e complementare", "urbanistica", "energia", "trasporti" e "turismo". Un disegno centralistico che diventa letale con due "ghigliottine" applicate ai poteri regionali: "l'unità economica e giuridica" e le rinate "riforme economico-sociali di interesse nazionale". Se passasse tutto così, sarebbero davvero tempi duri e battaglie mica da ridere per gli autonomisti, quelli veri.