I talk show politici vanno a picco negli ascolti e lo stesso vale per la vendita dei quotidiani, specie quelli più politicizzati (fra questi alcuni sono persino defunti). E' questo un segno evidente che, comunque la si giri, si afferma ormai una crescente disaffezione verso la politica, i politici e i loro annessi e connessi. Esiste una stanchezza di fondo che non sembra dissolversi e ormai l'antipolitica, che ha le sue sacrosante ragioni, è diventato un genere giornalistico e letterario che fa cassetta, ma con rappresentazioni non sempre oggettive da gettare in pasto a un pubblico famelico. Rispetto alle grandi inchieste sul tema, le ricopiature successive perdono di qualità e diventano spesso solo un condensato di acredine e di populismo. Ed il rischio è quello solito di "buttare via il bambino con l'acqua sporca"... Le uniche trasmissioni televisive che resistono sono i contenitori di intrattenimento, come è avvenuto con Matteo Renzi da Barbara D'Urso (che gli dava incredibilmente del "tu" ed era un'adorante "zerbino") a "Domenica Live" su "Canale 5". Renzi non è nuovo in queste comparsate in trasmissioni non politiche sulle orme dell'altro grande comunicatore di questi anni, Silvio Berlusconi. Risulta evidente che lo stesso Cavaliere - proprietario del gruppo "Mediaset" - deve avere dato una sorta di lasciapassare al premier fiorentino. Sarà interessante, nei prossimi anni, capire bene questo strano rapporto fra i due: Berlusconi probabilmente si vede riflesso allo specchio in Renzi o forse lo lusinga per evitare elezioni anticipate mentre il centrodestra è alle cozze? Ci sono mille sfumature intermedie e si arriva fino alla teoria di una sorta di volontaria eutanasia di Forza Italia dello stesso Berlusconi a favore di un lasciapassare per il suo impero televisivo sotto l'assedio di "Sky". E se ci fosse anche, all'ombra del "Patto del Nazareno", un'amnistia? Certo, la televisione li accomuna con un uso colloquiale ed ipnotico, fatto di simpatia e annunci bomba e con un'occupazione massiccia di spazi televisivi che in Italia sono regolamentati nel dettaglio assai minuto solo in periodo elettorale. Ho sempre criticato il meccanicismo ridicolo della "par condicio", che soffoca il giornalismo, ma è anche vero che le regole deontologiche e alcuni fondamentali da giornalismo anglosassone in Italia non valgono, specie nei "contenitori", a caccia di ascolti con scemenze ed orrori miscelati senza nessuna regola di buonsenso, come nei circhi ottocenteschi, quando si esibivano esseri umani con diverse disabilità per suscitare emozione e spavento. Quando il giornalismo o presunto tale scivola nella "melma" (volevo usare un altro termine con la "emme"...), la rincorsa fra gli uni e gli altri non si sa mai dove finisca. La televisione, però, come la sua sorella più giovane Internet, contiene una sua spietatezza ed è la memoria degli avvenimenti. Questa è già per Renzi - come ha scritto tempo fa "Panorama" e ci è tornato su "L'Espresso" questa settimana, in una coincidenza bipartisan - una spina nel fianco: ogni effetto annuncio, amplificato con una strategia di marketing da tavolino (scherzosamente battezzata "occupy tv"), cui si aggiunge una propensione renziana a dare per fatta ogni idea che gli viene, risulta "congelata" e la sua riuscita o il suo fallimento emergeranno "ex post" con un'evidenza che non potrà essere smentita. A questo si aggiunge un effetto televisivo studiato dai massmediologi: la sovraesposizione da televisione. Non è solo materia per "Agcom", l'Autorità sulle comunicazioni che vigila anche sui rischi di palesi violazioni anche in periodo ordinario - a favore di "Tizio" o "Sempronio" - con provvedimenti correttivi, ma lo è appunto per chi studia la circostanza in cui per un personaggio esiste, verso l'opinione pubblica, un livello di presenza sullo schermo che fa scattare una reazione del genere "il troppo stroppia". E' un tasso difficilmente calcolabile, che segue non solo micragnosi minutaggi nelle presenze, ma che attraversa i telespettatori come qualcosa di simile ad uno stato d'animo. Specie se gli annunci o almeno una loro buona parte assomiglieranno, alla fine, al grido «al lupo, al lupo» della celebre favola, che così finiva con la penna di Esopo: «ma i contadini, credendo a un altro scherzo, non si mossero più. Indisturbati, i lupi, fecero strage di pecore e agnelli».