Sono stato in passato in due luoghi simbolici dei flussi migratori: l'isola di Lampedusa, che è più vicina all'Africa che alla Sicilia, e il porto di Pozzallo, in provincia di Ragusa, dove vengono portati molti dei disperati raccolti nei barconi in mare. Sono questi due avamposti dell'Europa, come l'isola di Malta, che ho pure visitato, e dove a parlare di migranti sono piuttosto imbarazzati, vista la tendenza - in barba alle regole europee - a scaricare sulla vicina Italia quelli che in tempo chiamavamo "extracomunitari". Termine scomparso non solo nel nome del politicamente corretto, ma anche del buonsenso, perché altrimenti, rispetto all'Europa, sono extracomunitari anche svizzeri e norvegesi. I migranti, invece, sono persone in fuga, per guerre o per povertà, e scelgono l'immigrazione clandestina per avere una chance. Il flusso non si ferma nella misura in cui il Sud è sempre più distante dal Nord del Mondo e nuove ragioni si sommano come molla per questi viaggi della speranza. Pensiamo alla nuova aggressività dell'estremismo islamico, che obbliga molti alla fuga dai Paesi d'origine, e oltretutto può usare queste migrazioni per forme di "infiltrazione" che devono preoccupare. Dei flussi crescenti dei disperati, che diminuiscono d'inverno solo per le condizioni del mare, si sa bene. Così come non mancavano le analisi qualitative e quantitative per avere contezza del fenomeno e dei problemi che innesca. Sapevamo tutto anche del ruolo delle Mafie, che prima organizzano gli spostamenti verso le coste africane e poi da lì regolano le partenze nel Mediterraneo. Una macchina ben oliata e redditizia. Mancava, tuttavia, una consapevolezza, che è apparsa con chiarezza nella vicenda della Mafia Capitale di Roma: anche qui da noi il business è d'oro. Sulla complessa e costosa macchina dell'accoglienza (lunghissima per chi chieda asilo politico), in questo caso, il malaffare si è mischiato, purtroppo, alla cooperazione sociale. Ricordo di aver seguito alla Camera dei deputati la legge approvata nel novembre 1991, numero 381 "Disciplina delle cooperative sociali". L'incipit era bello e degno di una società civile: "Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate". Musica per le orecchie di un federalista che crede, per sua natura, nella cooperazione e nel mutualismo, che - se veri - giustificano tutte le conseguenti agevolazioni e vantaggi sul Mercato. Peccato, però, che nel settore, come nella cooperazione "normale", si siano infilati nel tempo anche dei loschi figuri o dei gruppi economici enormi, che sono ormai come elefanti nella cristalleria della cooperazione. Sarebbe bene che il mondo che se occupa, che sia Sinistra o mondo cattolico, si battesse contro abusi e ruberie a favore della parte sana. Altrimenti si farà di tutta un'erba un fascio nel gran calderone dei dubbi e delle insinuazioni. In più, prima o poi, l'Europa interverrà come un tritasassi nel nome dei principi della concorrenza, visto che quand'ero a Bruxelles su certa cooperazione italiana, che cela vere e proprie holding, si sprecavano i sorrisini.