In un pomeriggio domenicale, mi sono ritrovato al cinema a vedere con il più piccolo dei miei figli, il film d'animazione "Asterix e il Regno degli Dei" di Louis Clichy ed Alexandre Astier. Vorrei che in lui si cementasse la certezza che il cinema, con il grande schermo e con la sala al buio, mai sarà sostituito dallo schermo del televisore e dal relativo ambiente casalingo. Uso l'incipit di una articolo di "Panorama", a firma Simona Santoni, per inquadrare come si situi questa nuova pellicola in una lunga storia: "Nel 1959 Renè Goscinny ed Albert Uderzo hanno creato la striscia a fumetti "Asterix", dando vita a un fenomeno editoriale. A oltre 55 anni di distanza, il guerriero gallico Asterix ed il suo miglior amico Obelix continuano a piacere a grandi e piccini: la serie a fumetti conta 35 albi, tradotti in più di 110 lingue e dialetti, e 335 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Le imprese di Asterix hanno già animato otto cartoon e quattro film con attori in carne e ossa".
Per comodità prendo da "Vikidia - l'encyclopédie pour enfants", una sinossi che ricorda di che cosa si tratti: "L'histoire se passe en 50 avant Jésus-Christ. Toute la Gaule est occupée par les Romains, sauf un village... C'est le village d'Astérix et Obélix. Leur druide, Panoramix, fabrique une potion magique qui les rend invincibles. Les garnisons romaines qui entourent le village sont Petitbonum, Babaorum, Aquarium et Laudanum". Mi è venuto un flash l'altro giorno in cui ho realizzato che fu mia zia Eugénie a regalarmi in francese il mio fumetto di Asterix. Azzardo che fosse la metà anni Sessanta. Abituato al paludato "Topolino", Asterix spiccava in tutta la sua carica controcorrente. Poi ho continuato a comprarne qualche copia, in francese o in italiano, e quando ebbi i primi vagiti politici - tipo al Ginnasio - trovavo, con una quale certa ingenuità, un abito perfetto, perché adatto come analogia nello scontro fra Galline romani al rapporto fra valdostani e Roma e cioè la nostra autonomia speciale e il centralismo. Ogni tanto ho usato, anche da politico e pure alla Camera, questa immagine dei valdostani fieri della propria autonomia, come Asterix e la sua tribù. Ma - con la maturazione delle idee - questo è sempre avvenuto con tono scherzoso, perché è bene che i personaggi dei fumetti restino nel loro mondo della fantasia e perché, specie da Augusta Prætoria in poi (la cui fondazione è grosso modo negli stessi anni in cui sono state situate le storie di Asterix), immaginare i Romani solo come loschi occupatori è un'evidente caricatura con il dovuto rispetto per quel che di terribile capitò ai Salassi. L'identità è una torta multistrato in cui è improbo poter distinguere l'esatta miscela degli apporti avvenuti nel tempo, ma non ci possono essere omissioni su quanto è avvenuto e pensare con ingenuità che far sparire l'epoca romana sia più autonomistico, perché si possono usare in epoca contemporanea i celto-liguri che vennero prima e che sono immaginabili come più funzionali ad una costruzione mitica e deterministica della presente autonomia. Il film fa ridere e ha, proprio come i fumetti, due livelli di lettura. Quella naïf ad uso bambini e quella più maliziosa per gli adulti. Trovo da sempre geniale questa duplicità che sdogana i cartoni animati dalla gabbia della sola infanzia. Nel caso di questa film su Asterix e combriccola la morale conclusiva - e cioè che non bisogna mai rinunciare alla propria libertà - può avere come sempre un suo perché.