Conoscere la Storia è fondamentale, specie perché l'umanità ha talmente accumulato degli errori nel tempo, che ogni conoscenza delle vicende passate suona come un utile ammaestramento. La prima cosa che ogni totalitarismo ha fatto è falsare gli avvenimenti storici a proprio vantaggio e per questo l'esercizio della libertà, in democrazia, è come una ginnastica salutare, che prevede anche l'apprendimento di quanto è avvenuto per non tornare in certe situazioni. L'antisemitismo è, nelle somiglianze fra avvenimenti che poi sono figli del loro tempo, una vera porcheria, che ha attraversato i millenni e che rinasce periodicamente dalle proprie ceneri sotto forme nuove che sanno purtroppo d'antico. Primo Levi lo denunciava, ricordando come l'Olocausto non fosse, purtroppo, da considerarsi come un punto terribile di arrivo, ma che bisognava sempre stare con gli occhi aperti, scrivendo: "Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia". Anche a me, nel mio piccolo, è capitato di trovare dei negazionisti, tronfi nelle loro teorie bislacche, e perdere la pazienza di fronte a colossali baggianate senza fondamento storico, se non basate su un revisionismo imbevuto di razzismo e violenza. Così come mi è successo di finire serata in modo imbarazzante con persone che si mettevano a raccontare odiose barzellette sugli ebrei, convinti di essere simpatici.
Scriveva Albert Einstein: "I crimini di cui gli ebrei sono stati incolpati nel corso della storia - crimini intesi a giustificare le atrocità perpetrate contro di essi - sono mutati in rapida successione. Le accuse contro di loro, accuse della cui falsità gli istigatori erano ogni volta perfettamente consapevoli, superavano ogni immaginazione, ma hanno influenzato ripetutamente le masse. In questo caso, si può parlare di antisemitismo latente". Oggi quel che colpisce è la fuga dei francesi della comunità ebraica verso Israele: un continuo negli anni con una progressiva accelerazione, specie tenendo conto che il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito ancora di recente come i pericoli giustificano gli ebrei in Europa - ed in particolare in Francia - ad emigrare in Israele. Scrive Daoud Boughezala su "Causeur": «Moments paroxystiques de deuil et d'inquiétude, les agressions et crimes antijuifs ne sont donc pas de tragiques accidents troublant momentanément un vivre-ensemble idyllique. Parallèlement à la montée de l'antisémitisme arabo-musulman accolé à l'antisionisme virulent d'une partie de la gauche, la tendance à l'entre-soi à l'œuvre dans toute la société a progressé dans une partie de "la communauté", en même temps que la pratique religieuse et l'affirmation identitaire. Les "Philippe" et "Alain" nés dans les années 1960 appellent leurs fils "Ilan" ou "Avner" et beaucoup préfèrent désormais, pour leur résidence secondaire, Tel Aviv à Deauville. En somme, de plus en plus de "Français juifs", comme on dit à la télé comme pour leur prodiguer une réassurance, se considèrent comme des "juifs français"». Questo è solo un cenno a un fenomeno assai complesso, ma che deve inquietare. Basti pensare, oltre agli attentati islamisti, alla recente profanazione del cimitero ebraico a Sarre-Union (Bas-Rhin), dove cinque minorenni neonazisti hanno distrutto tutto, inneggiando ad Adolf Hitler. Poi c'è stata la tragica vicenda danese. Ci sono, insomma, cittadini europei che si sentono costretti ad andarsene altrove per la paura. Questo è inaccettabile ed è - ad ogni partenza che avviene - una sconfitta di quei principi di Diritto su cui si fonda il percorso dell'integrazione europea.