Poiché qui sopra annoto, oltre al resto, questioni che mi riguardano direttamente, vorrei che non suonasse come un'omissione il fatto che non abbia detto nulla sulle voci di una mia possibile candidatura come sindaco di Saint-Vincent. Visto che comincio a ricevere più volte richieste di spiegazione sul punto, allora ne scrivo qui in modo tombale. Quando qualcuno cominciò, in vista delle elezioni comunali in Valle d'Aosta, a dirmi che avrei potuto candidarmi nel paese dove abito (ma mi è stato chiesto anche altrove!), risposi sinceramente di «no». Fui naturalmente lusingato da chi - e sono stati molti - nei mesi successivi ha operato il tentativo di farmi cambiare idea. Ho sempre spiegato che il mio rifiuto non era snobismo o chissà quale considerazione vanagloriosa che, rispetto al mio percorso politico passato, potesse farmi pensare si trattasse di una diminutio di cui dispiacermi. Più semplicemente non rientrava nei programmi di vita.
Poi, qualche tempo fa, la questione prese un aspetto diverso. Mi era stato prospettato un ruolo di collante nel paese, che servisse - sulla base delle mie esperienze accumulate - ad uscire da certe beghe e divisioni a favore di un rilancio, ormai evidentemente necessario, per Saint-Vincent, dove soffiano i venti di diverse crisi concomitanti. Per senso di responsabilità e non per ambizione personale (capisco che lo dicono tutti…) ho provato a «vedere l'effetto che fa» con quelle che chiamerei consultazioni informali. Oggi posso dire che ci siamo andati vicini e per un attimo ho pensato davvero che avrei potuto essere della partita, ma poi la bolla è scoppiata. Lo si deve anche a certi comportamenti di persone che, per proprie ambizioni o propri interessi, hanno fatto scelte differenti. Tant pis, come si dice in francese. Per cui adesso posso dire: non sarò candidato alle comunali in assenza delle condizioni per farlo, ma certo si cercherà una buona soluzione da proporre agli elettori. Nessuno è indispensabile. Ma vorrei aggiungere qualcosa che altrimenti mi resterebbe nella penna (nella tastiera elettronica). Chi, come me, è federalista prende molto sul serio il ruolo dei Comuni, mai così nella polvere come avviene di questi tempi con un centralismo statale umiliante, di cui in Valle d'Aosta arriva solo una parte della bufera, fino a quando ci sarà la protezione dell’autonomia speciale. E questo è avvenuto - ne rivendico fortemente il risultato - con quella modifica dello Statuto del 1993 che ha dato alla Valle la competenza esclusiva sull'ordinamento degli Enti locali. Senza questa previsione oggi gran parte dei Comuni sarebbero stati cancellati dalle norme dello Stato, per fare solo un esempio fra gli altri. E' vero che, contestualmente, il Governo regionale ha, specie sotto il profilo finanziario ma anche ordinamentale, effettuato delle scelte in favore di un centralismo regionale su poteri e competenze comunali. Specie con l'uso del denaro e con il paravento dei risparmi necessari che ha messo sotto tutela il sistema degli Enti locali in dispregio a tutti i discorsi da cerimonie ufficiali sul federalismo. Questo rientra in un disegno autocratico di chi oggi è presidente della Regione ed essere dominus anche dei Comuni rientra in una certa mentalità e sono pochi i sindaci che hanno, almeno in pubblico, fatto sentire la loro voci in dissenso e questo svilisce il loro ruolo di difensori dell'antica e positiva rete comunale valdostana. Tuttavia, sia chiaro che il ruolo dei Comuni resta prezioso e fondamentale e nulla ha a che fare con la necessità, giusta e legittima, di effettuare risparmi e avere maggior efficienza, mettendo assieme i servizi che lo permettano. La recente scelta, in una quarantina di Comuni valdostani, di sdrammatizzare la figura dominante sindaco, diventata elemento di divisione proprio con l'elezione diretta specie nei Comuni più piccoli, è un segno di rivalorizzazione dei Consigli comunali, che devono avere un loro ruolo, pena altrimenti un continuo allontanamento di chi si impegna politicamente e non ha compiti esecutivi. Bisogna che questa "politica di prossimità" resti e prosperi, perché sono lì le radici più lunghe dell'impegno civico. Lo stesso vale per la figura del sindaco: in tanti anni ne ho conosciuti di vario genere, nel bene come nel male, a seconda dei loro comportamenti fra chi serviva davvero la sua comunità (ed erano la maggioranza) e chi cedeva anche alle tentazioni del portafoglio. Nello "spirito del campanile" e pure in quella parola dal significato non sempre positivo, che è "municipalismo", ci sono elementi da salvaguardare: dietro c'è, infatti, un senso di adesione al proprio territorio e ad una comunità come forgiatasi nel tempo. Anche questo - e non solo candidati, liste, amori e odi locali e bilancini per dividersi i posti e pure qualche tornaconto personale che non ci dovrebbe essere - sono le elezioni comunali.